La Torino “noir” vista e narrata da Milo Julini

Il cuoco accoltellato in via Borgo Nuovo

La location di questa vicenda è il Borgo Nuovo di Torino, quella parte della città che dalla linea obliqua dei bastioni, segnata dalla attuale via Andrea Doria, si estende fino a quello che oggi chiamiamo corso Vittorio Emanuele II. Borgo Nuovo è sorto dagli anni Trenta dell’Ottocento ed è un quartiere residenziale ridente e molto elegante, con edifici in stile neoclassico.

 

La nostra storia inizia nella sera di domenica 24 aprile 1870, quando si conclude l’ottava di Pasqua, cioè la settimana successiva alla Pasqua, celebrata il 17 aprile. Domenica 24 aprile, il giovane cuoco Giuseppe Molina va a cena alla trattoria del Varo, in Borgo Nuovo, con la sua fidanzata, Adriana Bouvard, cameriera della contessa Galliano, per presentarla alla sua famiglia: alla cena partecipano sua madre Francesca, sua sorella Luigia e il signor Luigi Accossato, padrino della sorella.

 

L’allegra comitiva trascorre due ore a tavola. Poi i due fidanzati e i loro accompagnatori escono piuttosto allegri dalla trattoria del Varo. Possono anche usufruire dell’intrattenimento musicale gratuito offerto dalla festa che si svolge nel palazzo del banchiere barone Weill-Weiss, sempre in Borgo Nuovo. Nella casa si suonano sinfonie, ballabili, pezzi d’opera e molti torinesi, amanti della buona musica, si recano sotto le finestre del palazzo per allietarsi con le graziose musiche.

 

La storia d’amore del cuoco e della bella cameriera a questo punto potrebbe avere il classico lieto fine. Ma non possiamo scrivere che “vissero felicemente insieme per tutta la vita”: la serata così gioiosa si conclude in modo tragico.

 

Dopo la serenata, Molina prende Adriana a braccetto e, precedendo di alcuni passi i parenti, si avvia tenendola ben stretta verso la loro abitazione, in via Borgo Nuovo n. 54, dove risiedono sia la famiglia Molina sia la contessa Galliano. Fin qui abbiamo descritto una realtà che, cronologicamente, dista da noi poco meno di 150 anni ma che appare ormai lontana anni luce dal nostro odierno modo di vivere. Così, per descrivere i due innamorati che tornano a casa dopo la “bella serata”, lasciamo la parola al cronista giudiziario Curzio: «I discorsi che la felice coppia teneva, erano melliflui e teneri: i due giovani bramavano che il cammino fosse più lungo per non distaccarsi tanto presto e continuare così la loro dolce conversazione».

 

Lungo la via,  i due giovani innamorati vengono violentemente divisi da una comitiva di giovinastri. Si accerterà in seguito che questi teppisti nel giorno di festa hanno visitato più osterie, hanno mangiato l’insalata con le uova sode in una osteria a Pozzo Strada, alla sera hanno mangiato le acciughe all’osteria nota come Turaccioli, sul corso lungo Po (corso Cairoli). Per estinguere la sete provocata da questi rustiche vivande, hanno voluto assaggiare il vino di quasi tutte le osterie del Borgo Nuovo e, dopo le undici di sera, si aggirano per le vie del quartiere, dove fanno baccano, corrono qua e là, si urtano per scherzo fra di loro e danno non poco disturbo a tutti i passanti che incontrano.

 

Alle ore undici e mezza, quando Molina e Adriana passano vicino alla comitiva di teppisti, uno dei giovinastri apostrofa Molina con tono aggressivo e derisorio: «Òh smorton, tisicon, marson: come hai il coraggio di andare a braccetto con una sì bella ragazza?» e così dicendo, aiutato da uno dei compagni, divide bruscamente la coppia. I due subito si riuniscono e i teppisti, senza indugio, li dividono di nuovo. Scoppia così un battibecco, in vicinanza della porta n. 54. Molina vorrebbe punire l’insulto ma rinuncia, sollecitato da Adriana e dai parenti. Apre la porta e, per primo, sale le scale.  

 

Arrivato al quinto piano, seguito a brevissima distanza da Adriana e dalla sorella, viene raggiunto da due individui che sono saliti in fretta e quasi inosservati per l’oscurità: al tempo i padroni di casa, per risparmiare, non illuminano le scale anche se è previsto dai regolamenti!

 

Uno dei due individui, senza dire una parola, dà due coltellate a Molina e poi fugge a precipizio col compagno. La sorella, urtata dagli assassini, grida: la madre, dal secondo piano, chiede cosa è successo e Molina le risponde: - «Nulla, nulla», sale ancora una rampa di scale e, mentre cerca un fiammifero per trovare il buco della serratura, dice: - «Mi sento venir male». Poi cade addosso ad Adriana, che cerca di sostenerlo ma non riesce e può soltanto farlo scivolare pian pianino sul pavimento.

 

Si alzano grida, si accendono dei lumi, si scoprono due ferite, si va a chiamare un medico che abita al terzo piano ma questi si rifiuta di medicare il ferito, il quale perciò viene subito trasportato all’Ospedale di San Giovanni, dove all’indomani muore.

Dall’autopsia viene stabilito che Molina ha ricevuto ben tre colpi di “arma pungente e tagliente”, come i medici legali definiscono il coltello. È  stato colpito alla coscia sinistra, al fianco destro e alla parte superiore dell’addome. La sua morte è dovuta a questa ferita penetrante all’addome.

 

La giustizia indaga. I primi sospetti cadono inizialmente su Sebastiano Mussotto, un giovanotto che voleva sposare Luigia, sorella di Molina, il quale si era energicamente opposto a questo matrimonio. Gli inquirenti sospettano che Mussotto odiasse Molina per questa opposizione ma questi può provare la sua innocenza e Luigia, già pochi giorni dopo la morte del fratello, decide di sposarlo. Intanto la giustizia rivolge altrove le sue ricerche.

 

Molina, prima di morire ha detto di non aver mai avuto nemici, di non avere mai bisticciato tranne  una volta, al ballo dei cuochi nell’Osteria del Castel di Soglio. Si cercano i personaggi con i quali Molina aveva litigato in quell’osteria e si viene a sapere che erano cinque o sei individui, fra cui Martino Bottalla e Francesco Bruno.

Martino Bottalla, di ventidue anni, nato e residente a Torino, viene arrestato il 23 maggio 1870, assieme a molti altri individui. Francesco Bruno, vista la mala parata, si rende irreperibile.

Bottalla, interrogato, inizia col negare. Poi, quando è provato che ha insultato Molina, chiamandolo «Smorton, tisicon, marson», pochi istanti prima che fosse ucciso, Bottalla accusa Francesco Bruno: dice che Bruno aveva deciso di uccidere Molina e che lui lo aveva inseguito lungo le scale per trattenerlo e fare da paciere!

 

Questa accusa arriva alle orecchie di Francesco Bruno che si costituisce e racconta tutto il contrario: dice che Bottalla voleva uccidere, ed ha ucciso, Molina, mentre lui gli era corso dietro per impedire l’omicidio.

Il giudice istruttore li arresta tutti due e li fa processare entrambi dalla Corte di Assise di Torino.

Il resoconto del processo del cronista giudiziario Curzio appare nella Rivista dei Tribunali della «Gazzetta Piemontese» del 21 gennaio 1871.


Curzio descrive ampiamente le tragiche modalità dell’omicidio che ha concluso una felice serata, parla di «Musica e amore, seguiti da odio, ferite e morte», mentre appare molto più sintetico sulle linee di difesa dei due accusati («Due s’accusano a vicenda e sono condannati ambedue»). Del resto, questa è stata la linea seguita dai giurati che hanno ritenuto i due responsabili nella stessa misura dell’uccisione di Molina, verdetto che ha portato alla condanna di Bottalla ai lavori forzati a vita. Bruno, perché minore d’età, è stato condannato “soltanto” a quindici anni della stessa pena.

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Articolo pubblicato il 28/04/2014