Gli stati nel patto nord-atlantico hanno deciso: da ottobre sarà Jean Stoltenberg il nuovo Segretario Generale della NATO

Gli stati nel patto nord-atlantico hanno deciso: da ottobre sarà Jean Stoltenberg il nuovo Segretario Generale della NATO. E stupisce che la notizia sia passata sotto silenzio, considerata sia l'importanza del ruolo, sia la particolarità della scelta di Stoltenberg, sia la velocità e la concordia generale con cui Franco Frattini, il precedente candidato, è stato sostituito.

 

Per capire i motivi di questa inversione di tendenza si deve guardare al curriculum del prossimo Segretario, un curriculum tanto ricco di esperienze istituzionali quanto di forti virate politiche. Stoltenberg, leader del partito laburista norvegese (AP), è stato anzitutto il premier norvegese nel periodo 2000/2001 e 2005/2013, quindi nel periodo  in cui si è dovuto gestire il delicato momento successivo agli attentati compiuti da Anders Breivik, oltre che Ministro dell'Energia e quindi delle Finanze nel biennio 96/97. Parliamo quindi di una persona di indubbia caratura politica.

 

Ancora più sorprendente è l'inclinazione politica di Stoltenberg. Quando era ancora un giovane politico esordiente, prima di entrare in parlamento, era conosciuto negli alti comandi del “servizi” Russi con il nome di Steklov. Sostanzialmente era un informatore (o una spia, per i più maliziosi) del KGB. Dopo di questo, con l'approdo prima nelle aule parlamentari poi nei vari ministeri, ha vissuto una lunga parentesi politica fatta di ideali politici tipici della sinistra anti-imperialista: convinto pacifista e oppositore dei test nucleari. Addirittura nel 2006 è il protagonista di una campagna mirata al disinvestimento di capitali norvegesi in alcuni fondi pensione americani finanziatori della produzione di armi nucleari. Un uomo che il Wall Street Journal ha definito “estremista”, mostrando diverse preoccupazioni per la sua candidatura.  

 

Per quali dinamiche, allora, Stoltenberg si ritrova il maggiore candidato alla segreteria della NATO?

Possiamo riassumere il tutto in tre ordini di fattori.

Anzitutto per il cambiamento nella linea dell'uomo politico norvegese. Negli anni la sua tensione anti-americana si è ammorbidita e le sue foto con Putin sono state via via sostituite da quelle con Obama. Stoltenberg è inoltre diventato un uomo decisamente meno idealista e più pragmatico, capace di equilibrare le proprie inclinazioni politiche con un mondo che sta vivendo equilibri internazionali sempre più precari. Con lui la Norvegia ha partecipato senza battere ciglio alle guerre (missioni di pace) in cui la NATO si è vista chiamata in causa.

 

In seconda di poi per la fiducia riposta in Stoltenberg da niente meno che Barack Obama. “Mister President” ha buoni motivi infatti per sposare la candidatura di un uomo che, come lui, cerca di essere un buon misto di idealismo e pragmaticità. Quindi bisogna tenere in considerazione che, mentre tutti i paesi europei stanno abbassando i budget destinati alle spese militari, la Norvegia le ha aumentate proprio durante la presidenza di Stoltenberg. Un altro fattore di peso è la provenienza geografica: il paese scandinavo non è un membro dell'Unione Europea, il che significa che difficilmente il futuro della NATO sarà determinato a partire dagli equilibri del vecchio continente. In ultima, stiamo parlando del tipico “uomo forte”: la speranza di Obama è che costui possa mantenere la NATO al riparo dai particolarismi dei vari componenti e di prendere in mano la situazione quando le scelte da prendere saranno quelle difficili e i vari membri faranno opposizioni di ogni sorta.


In aggiunta a questo, Stoltenberg piace all'Europa. Per gli stessi motivi che lo rendono gradito agli USA, ma all'opposto: il fatto che sia un uomo forte, di provenienza comunque europea, sembra assicurare che la NATO non sia in futuro così strettamente dipendente dai diktat americani. D'altronde gli alti comandi dell'alleanza sono sempre stati appannaggio degli USA, cosa sempre meno gradita negli stati dell'Unione. Oltre a questo ci sono da considerare i rapporti con la Russia, rediviva spina nel fianco della diplomazia occidentale. I rapporti tra Stoltenberg e Putin sono molto più distesi rispetto a quelli dei suoi predecessori. Se per l'America spesso i problemi si possono risolvere con una prova di forza, per l'Europa gli eventuali dissidi con la Russia hanno un peso molto maggiore- vuoi per la vicinanza geografica, vuoi per questioni energetiche. Nutrita è quindi la speranza che lo Zar del Cremlino possa essere più incline al dialogo (e ad una soluzione diplomatica più favorevole al vecchio continente) avendo di fronte un interlocutore di cui si fidi.

Il tutto spiega automaticamente l'esclusione di Franco Frattini dalla candidatura. L'ex Ministro agli Affari Esteri non è sicuramente l'uomo forte che tutti vogliono al comando della NATO, non ha una base politica abbastanza solida da renderlo indipendente, non ha “rapporti” privilegiati con alcun interlocutore potente.


Quando anche l'Italia ha sostenuto la candidatura di Stoltenberg, il ministro Mogherini ha spiegato che tale scelta era motivata dal bisogno di ottenere “il più ampio consenso possibile”. In aggiunta ha dichiarato di aver parlato con l'ex titolare della Farnesina, trovandolo d'accordo. Appare possibile, quindi, che il “d'accordo” di Frattini non dipenda solo dalla condiscendenza politica dovuta in queste occasioni, ma anche da un sano riconoscimento dell' “uomo giusto al momento giusto”.

 

 

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Articolo pubblicato il 07/04/2014