GOVERNO:UN PUNTO FERMO TRA TANTE DICHIARAZIONI

La sostanziale semplificazione dei contratti a termine

L’analisi delle deliberazioni dei Consigli dei Ministri di questo Governo, produce non poche apprensioni tra coloro che erano abituati all’esamina di testi scritti licenziati alla conclusioni del Consiglio dei Ministri e rubricabili in Decreti o Disegni di Legge, Decreti Legislativi o altri provvedimenti definiti nel testo. Tra i tanti interrogativi che caratterizzano le enunciazioni del Governo in carica, c’è un provvedimento che invece è scritto e merita un esame accurato.

Si tratta del Decreto Legge 12 marzo 2014 che disciplina la semplificazione dei contratti a termine e di apprendistato.

La materia era ampiamente prevista e trattata dalle Legge 18 aprile 1962:”Disciplina del Contratto di Lavoro a tempo determinato” e successive integrazioni.

Con le presenti disposizioni si intende innanzitutto prorogare la durata di tale tipo di contratto da 12 a 36 mesi, oltre che svincolare ogni tipizzazione di fattispecie di contratto, al fine di favorire senza riserve le esigenze dell’aziende e promuovere, in ogni caso l’assunzione dei lavoratori. L’unico limite previsto consiste nel contingentare il numero dei contratti, entro il limite del 20% rispetto agli organici dell’azienda che assume.

Nutriamo l’auspicio che il Parlamento non snaturi la portata di tale decreto.

Si tratta innanzitutto di uno di quei provvedimenti a costo zero che possono comportare un notevole effetto sul territorio, nel favorire l’occupazione dei lavoratori, senza produrre costi, stanziamento di fondi ed espletamento di ulteriori snervanti pastoie burocratiche e far ripartire l’economia.

L’unica voce di dissenso, sino ad ora, è partita dalla CGIL, con la consueta coda parlamentare da parte delle frange estreme, a sinistra della coalizione. E’ indiscutibile che sul piano teorico formale, il contratto a tempo determinato, non è il contratto a tempo indeterminato, ma, nei fatti rappresenta l’inizio della spirale di occupazione in aumento, dopo anni di paurosa recessione che ha colpito, in primis i giovani. I conservatori del sindacato si stracciano le vesti, forse perché i dipendenti a tempo determinato non contribuiscono ad ingrossare il fiume di adesione e conseguenti contributi elargiti dai lavoratori a tempo indeterminato al sindacato, tramite le tessere di adesione. Non vorremo che, anche in quest’occasione, il sindacato contribuisca a bloccare ogni forma di sviluppo e di crescita occupazionale. Seguendo l’indirizzo ormai noto e consolidato da decenni.

Chi invece conosce da vicino la vita delle aziende, ha ben presente le difficoltà che s’incontrano a procedere alle assunzioni, nei momenti in cui il mercato richiedeva momentanei o non consolidati picchi di produzione e per l’espletamento di attività per le quali non si dispone ancora di piani definitivi. Le maglie delle Legge 230 erano strette e, in molte occasioni e in particolari zone d’Italia, gli uffici pubblici preposti, fornivano un’interpretazione restrittiva e vincolante nell’applicazione della Legge. Così le aziende rinunciavano alle assunzioni, dislocando l’attività in altri Paesi ove la legislazione del lavoro è particolarmente flessibile, oppure procedevano a forme di terziarizzazioni che risultavano poi ancora meno garantiste per i lavoratori.

La difficoltà ad assumere, oltre ad altre storture e complicati strumenti burocratici tipici del rapporto di lavoro, hanno, negli anni, contribuito ad allontanare gli investimenti dall’estero, penalizzando il settore produttivo e di conseguenza l’occupazione. Se ulteriori e auspicabili provvedimenti in materia seguiranno la strada della flessibilità e della facilità di accesso, potremo,complici favorevoli circostanze esterne, risalire la china di livelli occupazionali possibili.

Nel seguire i lavori parlamentari e poter, nei sessanta giorni commentare in modo più esaustivo la portata del provvedimento definitivo, auspichiamo che il Governo, a conclusione dell’approvazione, possa intervenire nei confronti degli istituti di credito, al fine di favorire la concessione di mutui immobiliari a favore dei giovani in possesso di contratti a termine che prevedano almeno una durata superiore ad un anno. Oggi purtroppo, un ulteriore ostacolo ad impedire la formazione di nuove famiglie, è legato alla limitata concessione di mutui a favore di coloro che svolgono attività a tempo determinato e non sono titolari di rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Ci potremo forse trovare all’inizio di una svolta tesa a favorire la ripresa occupazionale?

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Articolo pubblicato il 21/03/2014