Giulia di Barolo. Patrimonio di umanità, valore di un’esperienza

Divagazioni a margine del convegno

Il Convegno “Giulia di Barolo. Patrimonio di umanità, valore di un’esperienza” si è svolto in occasione dei 150 anni dalla morte della Serva di Dio Giulia di Barolo, nel Salone d’onore di Palazzo Barolo, con una notevole partecipazione di pubblico.  

Hanno preso la parola S. E. Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino e Presidente dell’Opera Barolo; Giampiero Leo consigliere della Regione Piemonte; Silvio Magliano, Vicepresidente del Consiglio Comunale di Torino, presidente del Centro Servizi per il Volontariato VSSP, e Mario Barbuto, Presidente Corte d’Appello di Torino.  

Dopo la Prolusione di S. Em. Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, abbiamo ascoltato gli interventi di Suor Ave Tago, delle Figlie di Gesù Buon Pastore 

(“Giulia di Barolo. Storia di una donna inquieta d’amore e del suo carisma”), del Prof. Giorgio Chiosso, dell’Università di Torino, (“Educare per costruire capacità. Il coraggio di una donna alle periferie dell’esistenza”), della Dott.ssa Tiziana Ciampolini, dell’Opera Barolo (“Responsabili di un’eredità. Generare valore sociale ed economico per i territori”), del Prof. Stefano Zamagni, dell’Università di Bologna (“Per una carità delle opere che produca sviluppo”). 

Al pomeriggio hanno relazionato Padre Aldo Trento, Missionario Fraternità San Carlo Borromeo in Paraguay (“Un altro mondo in questo mondo. Vita e testimonianza della missione ad Asunción”) e Suor Felicia Frascogna, delle Suore di Sant’ Anna (“L’opera delle Suore di S. Anna nel mondo”). 


 

Dopo interventi tanto qualificati, cosa potrei aggiungere come cronista?  

Certamente non tenterò neppure di sintetizzare maldestramente i loro concetti: mi auguro che gli Atti del Convegno vengano completati in tempi accettabili e che le varie relazioni siano presto disponibili on line. 

Da cronista, devo però annotare come il momento più emozionante del convegno si sia verificato quando S. Em. Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha annunciato che è stata compiuta la positio della Serva di Dio Giulia di Barolo e che entro l’anno probabilmente sarà emesso il decreto di venerabilità, mentre la positio del Servo di Dio Tancredi Falletti di Barolo, è ancora all’esame.


Preferisco raccontare di Giulia di Barolo come l’ho incontrata nel mio percorso della “Torino noir” che si dipana dalle Carceri Senatorie, proprio a brevissima distanza di Palazzo Barolo, fino alle Carceri Forzate.

Giulia di Barolo è stata un personaggio rilevante della “Torino noir”, un luminoso personaggio della Torino dell’Ottocento che si è impegnata per migliorare l’esistenza fisica e spirituale delle donne detenute: nel 1818 Giulia ha iniziato questo suo cammino di volontariato che ha portato alla riforma delle carceri femminili torinesi.

Nella Torino della Restaurazione, le donne sono incarcerate nelle Senatorie, in condizioni disumane: il loro trasferimento dalle Senatorie, e da altre prigioni femminili torinesi, nel più salubre edificio delle Forzate avviene nel 1821, ad opera di Giulia che ha ottenuto dal Governo il provvedimento per il cambiamento di sede.

Il 30 ottobre 1821 Giulia è nominata Sovrintendente della nuova prigione femminile.

Questo suo impegno per le donne detenute è stato ampiamente ricordato dal dottor Mario Barbuto, Presidente di Corte d’Appello di Torino, con ampie citazioni delle Memorie sulle carceri, scritte dalla stessa Giulia in francese e successivamente tradotte da Silvio Pellico.

Il dottor Barbuto ha letto il passo delle Memorie sulle carceri dove Giulia descrive Angelina Agnel, ladra condannata per furto «domestico», cioè il furto commesso in casa d’altri da chi vi presta servizio in modo continuativo, senza distinguere se vi sia o meno la coabitazione con i padroni di casa. È un furto punito con severità dalle Regie Costituzioni del 1770 allora in vigore: la pena capitale fin dal primo reato, se il valore delle cose rubate supera le duecento lire, oppure se vi sono circostanze aggravanti, come ad esempio lo scasso.

Angelina Agnel, condannata a morte, è graziata per intervento di Giulia, che interessa al suo caso il conte Ignazio Thaon de Revel, al tempo Governatore generale.

Così Giulia, nelle sue Memorie sulle carceri, descrive questa detenuta: «Prima di terminare questo scritto, darò qualche cenno d’una prigioniera, per nome Angelina Agnel. […] Meritò colei per la sua buona condotta ogni ricompensa. Fu nominata infermiera in capo; quest’uffizio nel quale vi è qualche profitto, si è quello che richiede maggiore carità. Non ne mancò mai, ma essendovi gran facilità di eludere i regolamenti sul bere, si ubriacò, perdette il posto e venne punita. Un buon procedere continuato la fece poi risalire al grado di prima sorvegliante; ma non all’infermeria, ove sarebbe stata esposta ancora alla tentazione. Divenne per me un prezioso aiuto mediante la bontà e la dolcezza dell’indole sua, avendo inoltre un sangue freddo mirabile, amando l’ordine e sentendone la necessità. Benché diligente ad avvertire di tutto ciò che lo turbasse, era generalmente amata dalle compagne».

Il progetto di riforma di Giulia si basava sulla convinzione che tutti gli uomini sono figli di Dio e chiamati al medesimo destino di felicità e che il carcere non doveva soltanto punire, ma rieducare, riabilitare e reinserire nella società, dopo scontata la pena.

Giulia era convinta che il criminale non fosse irrecuperabile. Così conclude le sue Memorie sulle carceri: «Ah, che mai l’orrore del crimine faccia trattare con disprezzo il criminale! Finche gli resta un istante per il pentimento, il suo destino può essere ancora così bello!».

È stato più volte ricordato dai vari relatori che le carceri femminili torinesi, giudicate le peggiori d’Europa, grazie a Giulia, cambiarono aspetto perché vi entrarono pulizia, alfabetizzazione, lavoro retribuito con parte dei guadagni consegnata alle donne al momento del rilascio, assistenza religiosa.

Questo suo impegno nei confronti delle detenute si svolse ininterrottamente fino al 1848, quando cioè le nuove leggi preclusero definitivamente ai civili l’ingresso nelle carceri.

E sulla validità di queste nuove leggi carcerarie del 1848 ci sarebbe da discutere… e ci piacerebbe che lo facessero gli storici di professione.

Ma dove erano queste “Carceri Forzate”, dette anche “Ferrate”?

Sono sparite, senza lasciare una foto, un disegno, un bozzetto …

Erano collocate nell’isolato compreso fra le attuali vie Santa Chiara, dei Quartieri, Piave e San Domenico, dove vi era l’ingresso principale: oggi, in questo isolato, vediamo un elegante palazzo che è stato costruito nel 1932.

La storia delle Carceri Forzate inizia da lontano, perché in questo appezzamento di terreno inizialmente è stata costruita la villa con giardino dove abitava l’architetto Juvarra: ci restano i disegni di questa elegante abitazione ed un plastico realizzato dall’architetto torinese Gianfranco Gritella.

La villa di abitazione di Juvarra era stata costruita nella “isola di San Fedele”, così era allora indicato l’attuale isolato: il terreno era un dono che il Re Vittorio Amedeo II aveva fatto nel 1728 al suo architetto.

Juvarra vi costruì due edifici a tre piani, uniti da un giardino quadrato: nel primo, sulla via San Domenico, collocò il suo studio e, nel secondo, la sua abitazione dove visse fino al 1735, quando si trasferì a Madrid.

Questa elegante casa venne poi acquistata dai Savoia, cambiò più volte di proprietà, decadde e la sua progettazione juvarriana venne dimenticata.

Vi furono collocate le Carceri Forzate e divenne una prigione femminile modello ad opera della Marchesa Giulia di Barolo. Le Forzate furono chiuse nel 1870, con la messa in funzione delle Carceri Nuove.

Dalla fine dell’Ottocento, l’edificio juvarriano ospitò per un certo periodo il commissariato di Polizia della Sezione Moncenisio. Nel 1932, infine, venne demolito e sostituito dall’attuale costruzione.

Non sempre chi scrive di Giulia di Barolo sa esattamente dove fossero le Carceri Forzate.

Forse qualcuno penserà che le mie siano precisazioni inutili e un po’ maniacali.

Io la penso diversamente. Ho detto in esordio che Giulia di Barolo è un luminoso personaggio della Torino dell’Ottocento: il prestigioso convegno che le è stato dedicato ne è soltanto l’ultima dimostrazione.

E allora perché tenere nel vago una location così importante della sua opera?


Le foto della galleria fotografica sono opera di Sergio Solavaggione che ringrazio per la fattiva collaborazione.

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Articolo pubblicato il 23/01/2014