A Torino, una finestra sulle Langhe

Alla Famija Turinèisa con l’Associazione Arvangia

A Torino, venerdì 10 gennaio, si è svolta presso la sede della Famija Turineisa, la Vijà Piemontèisa “Le Langhe a Torino”, organizzata in collaborazione con l’Associazione Arvangia e col suo dinamico Presidente onorario Donato Bosca.

Daniela Piazza, Presidente della Famija Turineisa, e Donato Bosca hanno presentato i partecipanti all’incontro poi si è dato avvio alla Vijà con le “poesie del cuore”, momento di omaggio a illustri poeti piemontesi scomparsi.

Così Daniela Piazza ricordato Nino Costa con la lettura di “Rassa Nostran-a”, poesia dedicata agli emigranti piemontesi che Papa Francesco recita a memoria.

Sempre di Nino Costa, Oscar Barile, attore e regista della Compagnia Teatrale di Sinio, ha recitato “Nivole”.

Primo Culasso ha ricordato Oreste Gallina, cofondatore dei Brandé nel 1927, ed ha recitato, duettando con Donato Bosca, “Ciao Pais” dialogo che lamenta l’abbandono delle campagne delle Langhe.

L’omaggio a persone scomparse che con le loro opere hanno rappresentato un riferimento per i cultori e gli studiosi locali, è proseguito con la memoria di Angelo Manzone, poeta e cantautore, mancato nel 1999. Manzone è stato uno dei primi, forse il più ispirato, che ha messo in musica una Langa “diversa”, dopo che per anni e anni si erano intonati canti da osteria che inneggiavano al vino e ad amori villerecci.

Angelo Manzone è stato ricordato da Oscar Barile, da Clara Nervi e da Donato Bosca, con alcune delle sue canzoni-poesie, fra cui “Mè frel” e “Lun-a pin-a”.

Significativo e toccante è stato il ricordo di Angelo Manzone fatto dalla giovane Clara Nervi, di Loazzolo, attualmente Presidente dell’Associazione Arvangia: non ha conosciuto Angelo Manzone di persona, per ragioni di età, ma è stata conquistata da un CD delle sue canzoni tanto da avvicinarsi al mondo dell’Arvangia.

Donato Bosca, infaticabile scrittore e ricercatore, ha poi illustrato la rivista “Langhe”, giunta al suo numero 10: Donato ha evidenziato il ruolo positivo del dottor Fabrizio Bruno, dell’Assessorato all’emigrazione della Regione Piemonte, per la nascita di questa rivista.

Ha chiamato a parlare di “Langhe” tre generazioni al femminile, impersonate da Margherita Mo, staffetta partigiana con il nome di battaglia di “Meghi”, Paola Taraglio, segretario della Consulta regionale dell’Emigrazione, e Clara Nervi.

“Meghi” ha parlato con passione di questa rivista “Langhe”, ha raccontato come l’ha spedita in varie parti del mondo, a persone emigrate all’estero, e Clara Nervi ha ricordato l’impegno profuso da Donato Bosca per la raccolta, l’organizzazione e la presentazione del materiale prodotto dai numerosi collaboratori di “Langhe”.

Da parte sua, Donato Bosca ha ricordato che molte persone amano le Langhe, dichiarate patrimonio dell’UNESCO, ma si può dire che il vero patrimonio siano le persone delle Langhe, quelle “teste dure” che sono rimaste, che non hanno abbandonato la loro terra.

Un altro momento di poesia prevedeva la partecipazione di Gioanin Costamagna che, indisposto, ha delegato Vittorio Fenocchio (Tòjo Fnoj), brandé di lungo corso, a leggere una poesia dedicata al suo cane. Sono seguiti gli interventi del poeta Bartolo, che ha recitato una sua poesia dedicata al “barachin”, il portavivande che ha dato il nome agli operai della FIAT, di Luciano Ravizza, poeta e scrittore dialettale di Castell’Alfero, e quindi compatriota di Gaindoja e, in ricordo di Gipo Farassino, Michele Bonavero ha letto il testo della canzone “Ël 6 ëd via Coni”.

Si è aperta un’altra finestra sulle Langhe con Primo Culasso e i modi di dire tradizionali,

Primo Culasso, con Giancarlo Montaldo, è autore di “Dësgròpte! Modi di dire piemontesi di Langhe e Roero” (Antares, 2012).

Dësgròpte!” che significa letteralmente “slegati!” assume in senso figurato il significato di “svegliati! fatti furbo!” ed è uno dei 500 modi di dire raccolti nel libro.

Primo Culasso ha insistito sulla differenza tra il proverbio, vero e proprio condensato di saggezza popolare, e il modo di dire, più immediato e spesso scherzoso, come nel caso di “òs bacan” (che indica anche la poca voglia di lavorare), “fòl pai dna mica”, “bate le brochëtte”, “esse sempre ‘n mira ‘d Novel”, cioè sempre in vista di Novello, bel paesino di poche case appollaiato su una collina vicino a Barolo, modo di dire che esprime gli scarsi risultati ottenuti dopo un gran darsi da fare e che ci ha ricordato la nostra infanzia, perché utilizzato dai nonni materni.

Il settore dell’incontro dedicato ai “racconti che il tempo non cancella” è stato aperto da Maurizio Rosso, produttore vinicolo e scrittore, che ha parlato del suo ultimo libro ispirato dalla leggenda di Aleramo, “La leggenda del cavaliere veloce. La meravigliosa storia di Aleramo” (Araba Fenice, 2013).

Maurizio Rosso ha già pubblicato, tra gli altri, “Piemontesi nel Far-west. Studi e testimonianze sulla emigrazione piemontese in California” (Gribaudo 1990) e “Il castello dei Catari” (1996).

Rosso ha spiegato che Aleramo è realmente vissuto nel X secolo, è citato da nove testi d’epoca, ma ha affermato di essere rimasto affascinato dalla leggenda di Aleramo, che aveva ricevuto dall’Imperatore tedesco Ottone I la promessa di avere in feudo tutto il territorio che fosse riuscito a percorrere in tre giorni e tre notti a cavallo.

La leggenda vuole che quel territorio corrisponda a un’area grande tre volte la provincia di Cuneo, tra gli attuali Piemonte, Liguria e Lombardia e che per secoli commerci e storie ne abbiano conservato tracce di verità.

Questa leggenda è diventata il romanzo di Maurizio Rosso: la meravigliosa avventura - sconfinante nel mitologico - della cavalcata di Aleramo è raccontata con palpitante senso d’avventura, proiettata in un mondo magico e misterioso, visto attraverso gli occhi di un giovane cavaliere che voleva conquistare il mondo.

A questo punto Ada Finino, uno dei poeti del Circolo “Riveder le stelle” di Fossano, dopo qualche esitazione iniziale, ha recitato una sua poesia in italiano dedicata alla sua terra, la Sardegna.

È giunto il momento di parlare di masche e, vista l’assenza per malattia di Massimiliano Cerruti che è riuscito a trasfondere le storie di masche in un fumetto, ha preso la parola Oscar Barile che, brillante e spiritoso, è stato uno dei protagonisti indiscussi dell’incontro.

Oscar ha esordito con una garbata polemica verso gli studenti universitari che scelgono il tema delle masche per la loro tesi di laurea e vorrebbero sempre nuove “storie inedite”, ha ricordato la situazione delle stalle di una volta, quelle vere, poco o niente illuminate, come scure erano le strade per tornare a casa dopo aver udito gli inquietanti racconti di masche durante la vija.

Oscar si è detto convinto che si raccontassero le storie di masche soprattutto per tenere tranquilli i bambini, cosa che oggi si fa con la televisione, che rappresenta la masca di oggi.

Dopo questa brillante premessa, Oscar ha raccontato una storia di masche riferita alla sua famiglia, esposta in modo brillante, con un tono sempre oscillante tra la razionalità disincantata e quel certo “non è vero, ma…” che è forse l’elemento più coinvolgente di questi racconti.

Il cantante torinese Flavio Bonifacio, dopo avere simpaticamente intrattenuto l’uditorio con considerazioni su filastrocche come “La stòria bela, fa piasì contela” e “Batista tira la rista”, con un ricordo appena accennato di Gipo Farassino, ha poi cantato la canzone di Angelo Manzone “J’è ‘? màsche”, la sua ballata più conosciuta.

Silvio Marengo, autore del libro “Il bue Biund e altri animali di Langa” (Araba Fenice, 2012), come medico veterinario scrittore ha chiarito come nelle Langhe di un tempo le “bestie” cioè gli animali bovini salvavano le annate cattive quando il raccolto delle uve andava a male.

Ha proseguito spiegando che il bue, oggi enfatizzato come animale produttore di carne sopraffina da manifestazioni come quella del bue grasso di Carrù, esplicava anche il ruolo di “trattore” agricolo prima della meccanizzazione agricola.

Marcello Borgogno, cantautore cuneese del gruppo Cunjcant, anche se ancora un poco sofferente di postumi influenzali, ha intonato un brano di musica tradizionale piemontese.

Per il momento “Voci nuove del piemontese lingua viva” si sono esibiti Simona Colonna e Beppe Novajra, chansonnier torinese ormai noto ai lettori di “Civico 20 News”.

Simona Colonna, di Alba è musicista e compositrice poliedrica. Dopo i diplomi in flauto traverso e violoncello, ha intrapreso una brillante carriera artistica che l’ha portata a condividere la musica come esecutrice e interprete del repertorio classico, sia in ambito orchestrale sia come solista, ma soprattutto come compositrice e autrice nel mondo della musica pop, cantautoriale e jazz.

Simona, accompagnandosi col violoncello ha cantato alcune sue canzoni “Bacialé”, “Masca vola via” e “Brigante Stella” che fanno parte del suo ultimo CD intitolato “Masca vola via”.

Si è alternata con Beppe Novajra, chansonnier torinese ormai noto ai lettori di “Civico 20 News”, che ha presentato alcuni brani del suo CD “Globale”.

L’incontro aveva come argomento le Langhe, le storie, i personaggi, le canzoni, la musica, i racconti, la lingua piemontese e, malgrado qualche assenza, legata a malesseri di stagione, ha pienamente corrisposto alle aspettative, con quel particolare ritmo serrato che Donato Bosca riesce a imprimere agli eventi che organizza, ritmo che non lascia spazio alla noia e che invita ad approfondire i molti temi proposti.

Dopo una copiosa marenda sinòira presso il ristorante della Famija Turineisa, in luogo dei previsti “Racconti della stalla a doppio binario”, con interventi di Alessio e Donato Bosca, i suonatori si sono scatenati con le classiche canzoni piemontesi, quelle del bicchiere dopo, che hanno concluso questa Vijà Piemontèisa con un momento di spensieratezza.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 14/01/2014