IL TRATTATO DI LISBONA – UN APPUNTAMENTO MANCATO

Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009 dopo diversi anni di negoziati tra i Paesi europei, rappresenta la riforma istituzionale del Trattato sull’Unione Europea  e del Trattato istituente della Comunità Europea. 

Una evoluzione del quadro giuridico assolutamente necessaria per dotare l’Europa degli strumenti indispensabili al fine di chiarire competenze, partecipazioni e aspettative dei singoli stati e dei cittadini in un quadro di forte rafforzamento dei principi istituzionali. 


 

Gli obiettivi raggiunti con il Trattato di Lisbona  si possono così riassumere: 

- maggiore efficienza operativa 

- maggiore trasparenza e democrazia 

- maggiore rilevanza e tutela dei diritti fondamentali di solidarietà, libertà e sicurezza

- maggiore visibilità, potere negoziale e protagonismo a livello internazionale

- maggiore sicurezza per l’area Europa e solidarietà tra gli stati membri.


Il Trattato di Lisbona era quindi uno strumento dovuto, stante i rapidissimi cambiamenti che il mondo aveva subito a partire dagli anni 90 in un  caleidoscopio di settori: economico, politico, climatico, demografico, terroristico, energetico ecc.

Era quindi doveroso e imperante aggiornare le regole stabilite ai primordi della nascita dell’Unione Europea, rendendole efficienti e competitive, rispetto ai nuovi scenari in continua trasformazione ed evoluzione divenuti ormai carattere distintivo del nostro pianeta.


Tra i vari scenari, quello oggi forse più sensibile e pericoloso, è la sicurezza degli stati e delle loro popolazioni. Già all’origine del Trattato, venne appositamente creata la figura dell’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri e la Sicurezza, al fine di ufficializzare una azione unica di una Europa anzitutto umanitaria, ma anche potenza economica e diplomatica per un incisivo impatto verso la comunità internazionale.

In tema di difesa, anche qui dopo anni di snervanti negoziati tra gli Stati membri, si è arrivati a individuare un progetto specifico di Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO).


Il passaggio alla fase operativa della PESCO, avrebbe dovuto avere il suo battesimo  al Consiglio Europeo del 19-20 dicembre 2013, ma  non solo, questo della difesa avrebbe dovuto essere quasi l’unico argomento in discussione per portarlo a una fase molto avanzata di fattibilità.

Invece in questo Consiglio, molti argomenti, peraltro importanti, sono stati trattati: dall’occupazione giovanile alla riduzione delle regolamentazioni, dalla crescita economica e competitività  al mercato dell’energia, dalla crescita sociale al risanamento del bilancio per una corretta equità fiscale, dalle politiche industriali al rafforzamento della governance economica per un quadro finanziario più integrato e rispondente alle esigenze dei cittadini.

Ma della PESCO, incredibilmente,  nessun cenno !


Eppure, Sia Catherine Ashton, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’Unione, che  il nostro Ministro degli Esteri Emma Bonino, hanno rimarcato più volte la necessità che sul tema sicurezza l’Europa si presenti con una voce sola e una modalità di difesa in comune e integrata da una consistente parte di Stati membri.

Occorre dire purtroppo, che sia a livello istituzionale che anche dell’opinione pubblica Europea, sembra che altri temi peraltro molto importanti e in primis la crisi economica, facciano aggio sul tema difesa e sicurezza.  


Come spesso si pensa, la minaccia terroristica riguarda altri “giardini”.

Ma occorre anche sottolineare come il blocco maggiore per una difesa comune venga proprio da quei Paesi più forti economicamente e militarmente quali Gran Bretagna, Germania e Francia, che da sempre hanno mantenuto un atteggiamento distaccato su questo tema, beati della loro autonomia e potenza.

Pazienza per la Gran Bretagna che è fuori dall’UE, ma la Francia e soprattutto la Germania, non hanno scuse.


Occorre quindi ribadire con forza e determinazione che l’avanzamento del progetto PESCO  deve partire da questi Paesi appena menzionati, ad essi se ne aggiungeranno sicuramente altri tra cui l’Italia, forte della sua tradizione  di appoggio all’ONU nelle missioni militari di pacificazione.

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Articolo pubblicato il 28/12/2013