La Carta di Chivasso : Un documento da conoscere e riscoprire

Le Radici socio – culturali delle Popolazioni dell’ Arco Alpino

Recentemente qualche lettore ha accennato alla Carta di Chivasso, per evidenziare tra l’ altro dove sarebbe finita.

La domanda, che è sicuramente provocatoria, merita attenzione e nel contempo una assicurazione.

La Carta di Chivasso non è morta, forse è più viva che mai in quanto mai recepita nella sua effettiva portata dai diffidenti “Padri Costituzionalisti” già nel 1946/47.


 

La motivazione di questa “diffidenza” è storicamente complessa e richiederebbe un dibattito culturale molto ampio, non proponibile in questa circostanza.

Sottolineo che la Carta di Chivasso potrebbe anche riservare aspetti mai esplorati e che meriterebbero una ricerca approfondita.

Il sottoscritto si è cimentato, o meglio ha tentato di proporla, in occasione del Convegno “ A 65 anni dalla Carta di Chivasso – Opinioni ed Attualità” tenutosi il 27 novembre 2008 presso la Biblioteca Civica “A. Arduino” a Moncalieri, come Relatore dell’ argomento sotto riportato.


 

Il Convegno era patrocinato dal Comune di Moncalieri, dal Comitato Provinciale di Torino – Resistenza, Costituzione, Democrazia, dall’ Assessorato alla Cultura della Provincia e della Regione Piemonte e dalla partecipazione di Docenti Universitari di Diritto Costituzione. Moderava un giornalista di un quotidiano nazionale.


 

Pertanto, per rispondere parzialmente alle domande dei lettori di cui sopra, ripropongo la lettura di quanto segue nella convinzione che alla Carta di Chivasso sono ancora in tanti a prestare attenzione ... ed in tanti a riporre molte speranze.


 

La Carta di Chivasso: quali possibili ed antiche radici culturali hanno concorso alla sua elaborazione ?    


 

L’ originalità della carta  di Chivasso, elaborata in un periodo storico drammatico e durante gli ultimi atti della tragedia nazi-fascista, sicuramente deve indurre ad una riflessione approfondita sulla sua originalità stessa.


 

La domanda  a cui fino ad ora non si è ancora data una convincente risposta è quella se la sintesi del documento stesso, nasce dal contesto delle cause e vicende storico-politiche degli anni 40 e pertanto è un Unicum, oppure potrebbe essere una tappa obbligata della evoluzione di un antico sentire, di una antica testimonianza di valori, di una antica necessità antropologica di esprimere  ed attualizzare un nuovo contesto istituzionale e politico che in realtà è la continuazione di una antica ed insopprimibile esigenza delle comunità alpine?


 

Insomma la Carta di Chivasso è un Unicum oppure è una espressione inevitabile di un contesto storico e socio culturale e che ha comunque un “cordone ombelicale” che la porta a radici antiche?

La risposta a questa domanda, a mio avviso, è sicuramente difficile da dare con le conoscenze documentali e storiche in nostro possesso, ma questa stessa domanda obbliga a ricercare, a scavare nei documenti, a trovare analogie nel passato che consentano di trovare una concatenazione di fatti che possano suggerire una ipotesi di studio in questo senso.


 

Che da sempre le popolazioni dell’arco alpino, per le peculiari condizioni di vita, di economia di sopravvivenza, ambientali ed antropologiche esprimessero in ogni occasione di socialità la tendenza all’autogoverno delle proprie comunità è un fatto quasi scontato. E’ sufficiente osservare come le comunità, i piccoli villaggi, le borgate delle alti valli alpine hanno trovato nel passato e fino ad oggi la dimostrazione di una comunità organizzata in modo quasi autosufficiente per sopperire ai bisogni essenziali.

D’altra parte, al di fuori delle direttrici dei valichi alpini, luoghi condizionati da un costante passaggio di persone, merci, e conseguentemente di scambi culturali, le alte aree alpine tendevano ad essere zone di isolamento quasi “enclave” socio-economico-culturali.


 

Pertanto in queste realtà sociali ed antropologiche chiuse è quasi una necessità imposta dalla sopravvivenza che si dovessero delineare elementi di autogoverno dettati dalle dure condizioni di vita che da spinte puramente ideologiche.

La storia ci offre un Modello di Società alpina estremamente particolare e molto interessante e che è sempre stato ignorato dalla cultura dominante in quanto entità socio-economica irrilevante dal punto di vista di attore  e produttore di eventi storici: la Realtà del Popolo Walser.

La storia e l’origine di questo popolo affonda nelle “nebbie” dei tempi e sostanzialmente è poco nota.


 

E’ necessario in breve, anche se non è questa la circostanza per analizzare la complessa Storia della Comunità Walser, riassumere gli elementi qualificanti che hanno caratterizzato la civiltà stessa al fine di vederne nel tempo una continuità di valori e probabilmente la loro conservazione fino ai tempi nostri.

La Storia dei Walser probabilmente inizia con la migrazione dalle terre alemanne (Svevia) nel secolo VIII - IX dopo Cristo di piccoli nuclei, e poi con ondate successive, che nei secoli si insediarono a cavallo delle Alpi,  fondando alle sorgenti dei fiumi ed alle falde dei ghiacciai gli insediamenti umani più elevati del continente.


 

In pratica la colonizzazione abbraccia un arco che va dal Monte Rosa  a tutto l’arco alpino, fino al Vorarlberg Austriaco, in una fascia altimetrica che oscilla dagli 800 fino  ai 2200 metri sul livello del mare con punte estreme ai 2500 metri.

E’ l’esperimento unico di vita organizzata ad alta quota che forgia, che seleziona e tempra una Comunità di uomini “uguali e nel contempo particolari”, da quelli di altre realtà storico socio-ambientali diverse.

La colonizzazione delle alte quote comporta però di trovare anche un “accordo politico istituzionale “ con i Feudatari od i detentori del potere costituito (Imperatore, Vescovi, Abbazie, ecc.).


 

Un esempio che ci può riguardare da vicino è il Patto della Comunità Walser con i Conti di Biandrate  (a metà del duecento)  per la regolamentazione dell’insediamento nelle terre di loro giurisdizione.

Mentre nel Goms (valle del Sempione) è documentata una dichiarazione di libertà (1277) rilasciata agli uomini di Biel, da Marquandus di Morel sul “diritto dei Coloni”.

In questa circostanza emerge un dato di grande novità e che dimostra l’affievolirsi della struttura istituzionale del feudalesimo stesso e la necessità di nuove forme giuridiche per la regolazione dei rapporti socio-economici con queste “nuove Comunità”.


 

In pratica nei Patti si stabilisce che le terre sono sottoposte all’ Istituto Giuridico  dell’Affitto Ereditario. Questa singolarità si traduce in una sorta di “quasi proprietà” che ha il suo fondamento in una investitura contrattuale, attraverso la quale il colonizzatore di ventura, prestando taluni servizi al signore, acquisiva un ruolo di Autonomia e di Continuità nel legame con la terra, ignoto ad altri insediamenti.

Inoltre inizialmente i Patti prevedevano (anche se poi nei periodi successivi ci furono eccezioni) che la Comunità Walser non fornisse forza uomo per le milizie del Signore Feudale. Conferma questa che la Comunità Walser aveva già una “forza” di autonomia sociale e politica riconosciuta per trattare un accordo di questa portata.


 

E’ evidente che l’apparire sulla scena sociale di questi istituti giuridici, in un contesto ambientale così specifico portasse, all’acquisizione di una consapevolezza del “diritto dei coloni” in particolar modo presso i Walser che erano uomini “liberi” e quindi obbligati a trovare le forme istituzionali di Autogoverno prima nella comunità originaria e poi in una aggregazione più allargata.


 

Infatti la prima attestazione di questo termine risale al 1320, quando in un libro di rendite, il giudice della valle Tirolese di Galtur registra le “novali” degli “homines dicti Walser in Cultaur advenientes”. Come Walliser o Walser, i coloni compaiono nella regione di colonizzazione del Rezia inferiore e del Voralberg in numerosi documenti del XIV e XV secolo. Nella Rezia superiore i coloni saranno riconosciuti come Walser solo a partire dal XIX secolo, così come solo nel secolo scorso il termine Walser viene riconosciuto a quelle colonie a sud delle Alpi: Bosco Gurin negli anni 30, Formazza ed il Monte Rosa negli anni ‘40 e ’50.


 

Se al “diritto dei coloni” si sottolinea la necessità della “socializzazione” delle terre e sovente dei mezzi di produzione, evento imposto da una economia si sopravvivenza, prende corpo un modello socio-economico ulteriormente specifico, ma che porta ad affermare in modo irreversibile  un modello di vita non omologabile ad altre realtà contemporanee.

In sostanza ci troviamo davanti ad una comunità dove all’origine era praticato un Socialismo Primitivo Solidale con la comunanza dei beni, proprietà della comunità con l’ assegnazione dei terreni in base alle necessità della famiglia.

Marx non conosceva probabilmente la Storia del Walser, altrimenti avrebbe già dovuto ammettere l’esistenza di un modello storico e validato ante litteram di società solidaristico-socialista.


 

Basti citare il concetto di “Comune” inteso come luogo fisico in cui sono depositati gli strumenti di Diritto e di decisione democratica amministrativa della Comunità per capire come le singole Comunità fossero organizzazioni funzionali ed  oggettivamente autonome. Alcuni esempi.


 

Nel diritto consuetudinario Walser , e siamo già in tempi più recenti,  i DIRITTI d’ALPE, cioè le quote di partecipazione allo sfruttamento degli alpeggi, erano e lo sono ancora proporzionali all’estensione dell’azienda in fondovalle ed al numero di capi che ogni famiglia è in grado di “invernare”.

Ad esempio le “Krinne”, unità di  misura dei capi di bestiame inalpati, erano anticamente incise su tavolette in legno con le iniziali od i segni di casato delle famiglie (Saas – Vallese). I registri con la suddivisione delle quote degli alpeggi sono ancora oggi tenuti da un anziano della comunità (Kippel – Vallese).


 

Se a quanto sopra si aggiunge che i Walser hanno nei secoli realizzato una architettura abitativa eccezionalmente razionale – funzionale, una specializzazione pastorale agricola spinta alla sfida, una gestione commerciale e della viabilità dei passi (in senso longitudinale e trasversale e basterebbe citare la gestione del passo del Gottardo, del  San Bernardo, ecc.), salvaguardato una “lingua” ed una identità culturale, tutto questo autorizza ad affermare che i Walser sono un prodotto umano, antropologico, “unico” ed esemplare che il Laboratorio Alpino ha confezionato nei secoli e che la Storia Ufficiale ha volutamente ignorato.


 

Date queste premesse storiche e realtà socio-economiche organizzate da secoli e difficile pensare che questa esperienza non sia circolata come un fiume carsico e trasmessa come valore condiviso ed insopprimibile tra le popolazioni alpine.

Pertanto è verosimile che secoli di testimonianza di vita e di condivisione comunitaria rafforzassero una concezione di Libertà, di Identità, di un rapportarsi con l’Ambiente , di Solidarietà, di Condivisione dei mezzi di produzione, che portavano obbligatoriamente alla necessità di forme istituzionali di Autogoverno.

Un insieme di valori che restavano profondamente sedimentati nelle coscienze di uomini che si sentivano liberi.


 

Non per nulla è in questo contesto ed in quest’area geografica che nasce l’Autonomia degli Svizzeri e la realtà storico-politica-istituzionale dei Confederati.

La battaglia di Morgarten del 1315 resta un punto cruciale ed una svolta della storia.

In questo evento un manipolo di uomini liberi, fieri e determinati di restare tali, contadini montanari, contro ogni previsione, riescono a sbaragliare e distruggere una struttura militare organizzata (la cavalleria pesante feudale), espressione di una concezione feudale non più proponibile, obbligando gli Asburgo a cercare fortune politiche altrove.

La storia degli stati europei si svolge con un una sequenza che influenza pochissimo i destini delle popolazioni dell’alto arco Alpino, che resta un Laboratorio socio economico-culturale periferico, particolare e marginale rispetto alla “Grande Storia” che noi conosciamo.


 

E’ impossibile negare che questa cultura Alpina di Autonomia e di Autogoverno ancestrale non abbia avuto, in quest’ area geo-politica la possibilità di preservarsi e di condizionarne la storia futura.

Ecco il possibile cordone ombelicale antico, che forse e dico forse potrebbe aver alimentato ed offerto le radici per la continuità di quella cultura che ha ispirato “inconsapevolmente” la Carta di Chivasso.

Infatti l’enunciazione della Carta di Chivasso : “ Noi popolazioni delle valli alpine  …” è la sintesi scontata ed orgogliosa di una grande storia pregressa del mondo alpino, oscurata, ritenuta irrilevante e mai avallata e riconosciuta da sempre dal potere costituito.


 

Quanto sopra enunciato configura una Ipotesi ardita, una “provocazione culturale”, ma non peregrina, su cui si dovrà ancora indagare, studiare, scavare per confermare l’ esistenza o meno della continuità di queste radici.

In fondo la Carta di Chivasso, oltre al valore forte ed innovativo delle affermazioni politiche di discontinuità che enuncia nel contesto storico del 1943, è sicuramente un documento Anti-Mondialista, Anti- Omologazione, Ambientalista, ed Ecologista ante litteram.


 

Questi valori sono peculiarità, specificità originali, quasi eresia rispetto ai valori e dogmi delle allora ideologie imperanti.

I temi ed i valori della Carta di Chivasso sono l’eterna ed insopprimibile tendenza dell’uomo verso la Libertà e la riaffermazione della possibilità di conciliare l’Autogoverno in una Entità Territoriale ben definita.

Non è Utopia ma l’embrione moderno dell’Autonomia  e del Federalismo che vuole diventare realtà e riaffermarsi in un contesto che l’esperienza della storia alpina, senza clamori e quasi nell’oblio, ha collaudato già da secoli.

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Articolo pubblicato il 27/12/2013