Senza Internet e reti cellulari, protesta l’Italia isolata dal web

Operatori concentrati solo sulle grandi città. Dimenticati monti, Sud e isole

Fonte: Lastampa.it

Il paradosso è ben nascosto dietro ai numeri. Quelli ufficiali dicono questo: il 99,83% della popolazione italiana è raggiunta dalla rete cellulare, almeno con il vecchio 2G. Il 95,39% anche dal più moderno 3G. Eppure, chi vive in montagna o in un piccolo comune lo sa: quei numeri non dicono tutto. Il Paese è pieno di zone d’ombra, dove in teoria non ci sono problemi e in pratica - come si usa dire - non c’è mai campo.  

I vuoti si trovano soprattutto al Sud e tra Alpi e Appennini. E sulle Isole, come ci ha ricordato il sindaco di Nughedu Santa Vittoria, sceso in piazza a fare segnali di fumo per denunciare l’isolamento del piccolo centro in provincia di Oristano. Diventato il simbolo di un’Italia che, anche in questo, gira a due velocità.  

Certo, colpa di un Paese montuoso e tortuoso, in fondo difficile da «illuminare» a dovere. Ma colpa anche di ragioni di mercato. Da sempre, gli operatori concentrano le risorse nelle grandi città: dove conviene, perché gli utenti sono tanti e gli investimenti si recuperano con migliaia di contratti. E dove le compagnie ti bombardano di offerte. Intanto, le zone d’ombra restano e cresce la solita distanza tra italiani di serie A, fin troppo raggiungibili, e altri di serie B, costretti quasi ai segnali di fumo.  

Le cose dovrebbero cambiare con la piena diffusione della tecnologia 4G, che corre su frequenze più solide: quelle che un tempo erano della tv, assegnate con l’asta del settembre 2011. Spiega Cesare Avenia, presidente di Assotelecomunicazioni: «Con l’asta lo Stato impegnò anche gli operatori a coprire le cosiddette “aree bianche”: oltre 6400 comuni dove il servizio è più problematico e si opera in fallimento di mercato, cioè senza vantaggi per le aziende».  

A due anni da quell’impegno, le aree bianche restano 4mila, distribuite nei soliti posti: sui monti, al Sud e sulle Isole. Compreso Nughedu Santa Vittoria. «Nella diffusione del 4G c’è stato un rallentamento», ammette Avenia. «In Italia c’è un limite di 6 volt per metro di elettrosmog e sono le Arpa regionali a misurare le emissioni e poi autorizzare le nuove antenne. Ogni Arpa ha però il suo modo di fare le misure e così siamo andati avanti a macchia di leopardo. A breve il governo fisserà degli standard nazionali e ripartiremo verso l’obiettivo: azzerare le “aree bianche” entro il 2017». 

Un traguardo simile riguarda anche la diffusione di internet a banda larga, storico ritardo italico che tanto è costato in termini di competitività. Ingrediente centrale nella famosa «agenda digitale», la banda larga serve anche per soddisfare gli obiettivi europei per il 2020, quando tutti i cittadini Ue dovranno essere raggiunti da internet superveloce, almeno a 30 Megabit al secondo.  

La realtà, per ora, è che il 4% degli italiani non arriva ai 2 Mbs. E nel Paese esistono ancora 109 comuni dove il «digital divide» è totale, dove cioè nemmeno un cittadino è dotato di una connessione a internet, da casa (quindi con l’Adsl) o dal cellulare. «Siamo comunque passati, dal 2009 a oggi, da 8,5 milioni di cittadini in digital divide fino agli attuali 2», dice Rossella Lehnus del ministero dello Sviluppo Economico. «Il piano procede bene, grazie alla collaborazione con le Regioni e agli incentivi a beneficio degli operatori. E, certo, anche ai fondi comunitari». 

Il presidente del Consiglio Enrico Letta ha già annunciato che il 10% dei fondi strutturali Ue 2014-2020 sarà speso proprio in infrastrutture digitali e banda larga. Ma la questione delle risorse resta delicata. Basti pensare che 20 milioni dei 150 stanziati per la banda larga un anno fa - decreto Crescita 2.0 - sono già spariti, «presi in prestito» per il decreto del Fare. «Sono i fondi per l’intervento a favore delle zone più svantaggiate, per le quali gli incentivi agli operatori non bastano», spiega Lehnus. «Pare saranno reintrodotti nel decreto Stabilità e spero che sia così: quell’intervento è fondamentale per frenare l’emigrazione di persone e aziende dalle aree meno sviluppate».

 

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Articolo pubblicato il 03/11/2013