Il Piemonte della Restaurazione

Conferenza di Marco Albera alla Biblioteca della Regione Piemonte

Una appassionata difesa della Restaurazione in Piemonte e delle sue valenze religiose e sociali è stata presentata mercoledì 18 settembre da Marco Albera ne “Il Piemonte della Restaurazione”, seconda conferenza del ciclo previsto presso la Biblioteca della Regione Piemonte in concomitanza alla mostra “Tancredi e Giulia di Barolo. Riforme, cultura e beneficenze nel Piemonte del primo Ottocento”, inaugurata mercoledì 11 settembre.

Marco Albera, già presidente dell’Accademia Albertina, scrittore, ricercatore e collezionista, ha affrontato la vasta tematica, precisando in esordio che l’argomento lo ha sempre appassionato, perché la Restaurazione è stata raccontata da troppi storici in modo ideologico e distorto, con omissioni volute e sudditanza psicologica rispetto ad altri periodi come l’età napoleonica e quella risorgimentale.

Nella sua conferenza, Albera ha quindi voluto ‘completare’ il quadro offerto dalla storiografia ufficiale per far meglio emergere la grandezza di chi si sentiva collocato dalla Divina Provvidenza in un momento di emergenza ed ha pensato non a lamentarsi ma ad agire, impegnandosi in  prima persona, come Carlo Tancredi di Barolo: il Relatore ha concentrato la sua attenzione su questo personaggio piemontese, senza nulla togliere alla consorte Giulia.

Carlo Tancredi di Barolo ha vissuto tra periodo napoleonico e Restaurazione. Il periodo napoleonico, con la precedente rivoluzione francese, ha rappresentato un vero e proprio cataclisma che ha provocato 5 milione di morti, dato numerico cui si devono aggiungere i danni alle anime provocati dalle idee ‘sbagliate’ che Napoleone ha diffuso in Europa e anche in Piemonte.

Il Piemonte del Settecento era uno stato con bassa imposizione fiscale che, nel 1792, è stato aggredito dalla Francia senza dichiarazione di guerra: il Piemonte ha dovuto combattere su un fronte molto esteso, lungo la costa del Mediterraneo e in Savoia, la guerra detta delle Alpi che si è protratta per anni, senza una adeguata collaborazione degli alleati Austriaci, fino all’armistizio di Cherasco (1796).

Poi, il 6 dicembre 1798, il Re Carlo Emanuele IV è stato costretto a cedere i rimanenti territori del suo regno per mantenere unicamente la sovranità sulla Sardegna. Dopo la breve parentesi del 1799, con gli Austro-Russi a Torino e l’epopea di Branda Lucioni e della sua Massa Cristiana, con la vittoria di Napoleone a Marengo, il Piemonte diviene la 27ma divisione militare francese (1801).

Di quel periodo, Albera ha ricordato la ‘deportazione’ a Parigi delle famiglie nobili aristocratiche, l’abolizione degli ordini religiosi (1802), la situazione economica molto difficile per l’inflazione dovuta agli “assegnati”: lo stato francese ha pagato i suoi debiti in una percentuale variante dal 5 al 7%! Il numero di abitanti di Torino che prima della guerra delle Alpi era di 119.000 persone, nel 1803 si era ridotto a 59.000.

Il sistema assistenziale sociale sabaudo era stato disperso: per organizzare ospedali per i loro feriti i Francesi non esitarono a svuotare dall’oggi al domani l’Ospedale di Carità!

A questo collasso del sistema assistenziale si univa la fortissima tassazione con l’imposta di successione e la tassazione del 50% del reddito degli stabili affittati. La coscrizione obbligatoria comportava elevata mortalità fra i soldati reclutati in Piemonte (il III fanteria noto come il “Tre Paletti” contò una perdita di 75.000 uomini), aggravata dalla denatalità legata anche alla nuova legislazione laica sul matrimonio. Tutto questo si traduceva in una grave mancanza di risorse umane per le campagne. Continuava la persecuzione del clero: nel 1813, centocinquanta sacerdoti erano ancora incarcerati nella Cittadella di Alessandria.

Tutti questi dati devono essere ben tenuti presenti quando si sente presentare la Restaurazione come un periodo assolutamente negativo dopo il ‘fulgore’ napoleonico, come un mero ritorno del potere assoluto. Albera si è soffermato a lungo sugli editti del Re Vittorio Emanuele nel maggio del 1814, quando ancora si trovava a Genova e non era ancora rientrato a Torino. Dopo i sedici anni trascorsi in Sardegna, Vittorio Emanuele si preoccupava di ridare “l’antico lustro alla Santa Religione” ma anche di perdonare gli oppressori, di abolire la coscrizione obbligatoria, le tasse di successione, la tassa sugli immobili e sul diritto di registrazione, prometteva un indulto generale e ordinava fin da subito un rilascio dei detenuti a giudizio dei magistrati.

Certo il Re Vittorio Emanuele pensava ad un ritorno al sistema precedente, che stabiliva un principio di sussidiarietà attuato anche tramite la beneficenza, ma a questo ritorno al sistema precedente, tanto enfatizzato in termini negativi, il Re intendeva affiancare anche innovazioni suggerite dai tempi nuovi e dalle circostanze come, ad esempio l’abolizione della tortura come mezzo di indagine giudiziaria.

E questa volontà innovativa di Vittorio Emanuele è stata spesso volutamente dimenticata dagli storici: Albera ha così fatto emergere un quadro della Restaurazione in Piemonte assai diverso di quello di solito presentato.

La Restaurazione costituisce momento storico che seguiva il turbolento periodo dal 1792 al 1814, quando le continue guerre avevano messo a terra l’economia piemontese, in particolare negli anni 1813 e 1814, quando la grave carestia agricola era stata aggravata dalle rapaci requisizioni che tentavano di tenere in piedi l’agonizzante assetto napoleonico.

Torino e il Piemonte erano in queste condizioni quando Carlo Tancredi ritornò da Parigi: nello stato sabaudo e nelle proprietà agricole dei marchesi di Barolo tutto era da ricostruire, case, cascine, terreni, bisognava riavviare quel peculiare rapporto tra le classi sociali che in Torino era evidenziato dalla vita nei palazzi dove coabitavano su piani diversi tutti i ceti sociali.

Questa ricostruzione era difficile ma ha dato risultati clamorosi: malgrado una crisi agricola nel 1816-18, durante il regno di Carlo Felice si è giunti al pareggio di bilancio. Grande risparmio era stato attuato anche sull’esercito.

In questo periodo, Carlo Tancredi ha anche portato il suo contributo alla ricostruzione di cose utili allo spirito, come l’Accademia di Belle Arti, o il Collegio delle Province dell’Università che permetteva lo studio a studenti meritevoli non abbienti. Anche l’Erma di Saffo, che Tancredi ha commissionato ad Antonio Canova nel 1820, non fa tanto riferimento alla poetessa greca quanto alla bellezza “ad immagine e somiglianza di Dio”. E Albera ha ricordato a questo proposito la “via pulchritudinis” citata da Benedetto XVI.

Questa ripresa del Regno Sardo ha portato ad una situazione assai favorevole delle strutture assistenziali, riconosciuta anche all’estero, e l’opera di Carlo Tancredi e di Giulia di Barolo ha trovato un pieno riconoscimento nel 1840, quando in occasione della seconda riunione degli scienziati italiani a Torino, la “Descrizione di Torino” di Davide Bertolotti, appositamente edita da Pomba, riportava un lungo elenco di opere assistenziali, molte riconducibili ad un loro interessamento diretto o indiretto.

Albera ha detto di pensare alla Restaurazione piemontese con un certo orgoglio, sottolineando come l’intervento di Carlo Tancredi, nel corso dell’epidemia di colera del 1835, abbia dato ottimi risultati: a Torino, dal 24 agosto alla prima decade di dicembre, si contarono 349 casi di contagio e 220 decessi mentre a Genova furono accertati 5.974 casi di colera, di cui 3.219 mortali.

Nel 1837, in occasione di una epidemia di grippe (influenza) Carlo Tancredi ha provveduto ai bisognosi con lo stile della cultura cattolica, senza lasciare indietro nessuno. Del resto aveva già aperto nel suo Palazzo le “Stanze di Ricovero”, per accogliere i bambini trascurati dai genitori, in particolare dalle madri costrette, per vivere, a lavorare nelle fabbriche. E il suo esempio era stato seguito anche da altri esponenti dell’aristocrazia torinese.

Dopo aver ricordato il discorso del Papa Giovanni Paolo II a Torino nel 1980, sulle due Torino, quella laica e quella dei Santi “sociali”, Albera ha concluso la sua conferenza con un’altra affermazione di questo Papa: «… i santi non invecchiano praticamente mai, che essi non cadono mai in “proscrizione”. Essi restano continuamente i testimoni della giovinezza della Chiesa. Essi non diventano mai personaggi del passato, uomini e donne di “ieri”. Al contrario: essi sono sempre gli uomini e le donne di “domani”, gli uomini dell’avvenire evangelico dell’uomo e della Chiesa, i testimoni “del mondo futuro”», e questa mostra dedicata a Tancredi e Giulia di Barolo dimostra pienamente la validità di questa affermazione.

 

Tancredi e Giulia di Barolo. Riforme, cultura e beneficenze nel Piemonte del primo Ottocento

La mostra resterà aperta al pubblico fino al 15 novembre con l’orario:

lunedì-venerdì: 9-13/14-16 e mercoledì: 9-13/14-18.

Sala espositiva della Biblioteca della Regione Piemonte - Via Confienza 14 – Torino.

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Articolo pubblicato il 19/09/2013