Torino, 18 gennaio 1875: al Teatro Gerbino si rappresenta “L’egoista per progetto”

Commedia inedita di Carlo Goldoni (Ma forse no)

 

A Torino, il 18 gennaio 1875, al Teatro Gerbino si rappresenta la commedia “L’egoista per progetto”. L’impresario teatrale cavalier Luigi Bellotti-Bon (Udine, 1820 - Milano, 1883) la presenta trionfalmente come un’opera inedita di Goldoni di cui ha acquistato il manoscritto, trovato a Parma circa due mesi prima.

 

Sulla commedia, Bellotti-Bon ha battuto la grancassa pubblicitaria. Ha inviato una circolare ai giornali, dove afferma che il manoscritto appare più che centenario, che lui non ne aveva ancora letto la terza scena ma già non dubitava che la commedia fosse Goldoni: la sua meraviglia cresceva di scena in scena... caratteri e situazioni assai comiche inducevano buon umore e ilarità in un crescendo delizioso fino alla fine del lavoro.

 

La commedia sarà rappresentata contemporaneamente in tre teatri, dalle tre compagnie di Bellotti-Bon, al Gerbino di Torino, al Valle di Roma e al Niccolini di Firenze. La sera del 18 gennaio 1875 è la sera della prima.

Lo scrittore e commediografo modenese Paolo Ferrari, da Torino, riferisce al “Pungolo”, giornale di Milano che il teatro traboccava di un pubblico scelto, con tutte le personalità del mondo letterario.

 

Il  primo atto ha avuto ottimo successo ma qualcuno sospettava una burla, o addirittura una montatura. Bellotti-Bon ha preso la parola, ha dissipato i dubbi mostrando il manoscritto. Il pubblico, persuaso, lo ha applaudito freneticamente e il resto della commedia ha fatto furore.

Paolo Ferrari è considerato un giudice particolarmente qualificato perché autore di commedie brillanti di stile goldoniano, fra cui “Goldoni e le sue sedici commedie nuove” (1851).

 

A Torino, dunque, “L’egoista per progetto” ha incontrato l’approvazione del pubblico ed è replicato più volte. Così pure, anche se in misura minore, avviene a Roma.

A Firenze, invece, gli spettatori ritengono che la commedia sia stata scritta dallo stesso Bellotti-Bon e l’esito è piuttosto movimentato.

 

Da Torino a Palermo, il mondo artistico viene messo in agitazione e ne nasce una disputa che riportata per intero sarebbe molto spassosa per i diverbi, gli insulti, il putiferio sollevato. Esperti e uomini di lettere danno pareri nettamente contrastanti: Vittorio Bersezio, Giuseppe Giacosa, Paolo Ferrari e altri propendono per l’ipotesi goldoniana.

Altri critici non credono all’autenticità della commedia. Fra questi, i toscani Pietro Coccoluto Ferrigni (Yorick) e Ferdinando Martini ed il sardo marchese Francesco Flores d’Arcais.

 

Flores d’Arcais finge di aver ricevuto dai Campi Elisi una lettera di Carlo Goldoni, il quale gli confida che la commedia non è opera sua, che la ritiene moderna, che si complimenta con l’autore («… ha dato prova d’ingegno e gliene faccio le mie sincere congratulazioni») e conclude con la convinzione che sia opera di Parmenio Goldoni.

 

Flores d’Arcais avanza così l’ipotesi che l’autore sia Parmenio Bettòli, giornalista e commediografo allora quarantenne, dato che è nato a Parma nel 1835.

Mentre le tre compagnie continuano le rappresentazioni in tutte le piazze, scoppia lo scandalo.

La “Gazzetta di Milano” accusa Bettòli di avere attuato la mistificazione in accordo con Bellotti-Bon per organizzare lo scoop della commedia inedita.

 

Bettòli giura e spergiura di non aver mai avuto nessun rapporto con Bellotti-Bon per la commedia.

Bellotti-Bon, offeso per l’accusa, per difendersi pubblica un suo opuscolo, intitolato “Lamentevole storia narrata da Luigi Bellotti-Bon delle tribolazioni, confessioni e riflessioni serio-facete di un comicuzzo ignorante a proposito dell’Egoista per progetto, commedia attribuita a C. Goldoni” (Torino, 1875). Bellotti-Bon nomina poi una commissione milanese perché esamini i documenti che dimostrano il suo corretto comportamento.

 

Si svolgono inchieste all’ufficio postale di Parma; si ricorre alla Procura del Re e Bellotti finisce col dar querela al signor Pier Taddeo Barti di Parma che gli ha venduto, per posta, il manoscritto della commedia… 

Bettòli continua a negare.

I giornali, in subbuglio, parlano di “indecente parodia”, persino di “onore nazionale” e “di salvezza del buon nome della patria”.

 

Finalmente Bettòli decide di raccontare la sua simpatica (ed erudita) beffa e pubblica l’opuscolo “Storia della commedia ‘L’egoista per progetto’ e di P. T. Barti” (Milano, 1875) dove dice di avere agito così perché indispettito verso l’impresario teatrale: Bettòli narra che per tre anni è stato illuso con la promessa di rappresentare una sua commedia. Ha  pensato di vendicarsi.

 

Aveva scritto un “Signor Prosdocimo” e un amico gli aveva detto che questa commedia aveva “spiccatissimo sapore goldoniano”. Bettòli si è messo all’opera. Ha trovato, per caso, la carta d’epoca; ha comprato alcune penne d’oca; ha stemperato l’inchiostro comune con limone, aceto e ammoniaca: ha trasformato così il “Signor Prosdocimo” in “L’Egoista per progetto, commedia del signor Carlo Goldoni in tre atti”.

 

Terminato il suo manoscritto, lo ha trattato con acqua leggermente intinta di caffè, con aceto, limone, polvere. Ma non era convinto: gli sembrava che la contraffazione fosse troppo evidente. Per fare una prova, ha spedito il manoscritto alla Biblioteca Marciana di Venezia, pregando il bibliotecario di dire al signor Pier Taddeo Barti di Parma, se la commedia, ritrovata in mezzo a vecchie carte non smosse da qualche secolo, sia da attribuire a Goldoni.

 

La risposta è che «nulla si oppone a che il manoscritto sia attribuito all’epoca goldoniana».

Quanto all’autenticità goldoniana, poi, il Bibliotecario della Marciana acclude il giudizio d’un suo amico, espertissimo di teatro, il quale afferma che «non poteva dirsi che la commedia fosse proprio di Goldoni: ma che però c’erano nel lavoro varie scene buonissime».

 

Bettòli temeva di non aver saputo fare le cose per benino e, invece, la faccenda andava benone...

Già, come ha affermato Eric Hebborn, “re dei falsari” di opera d’arte del Novecento, “Io non ho mai detto ‘questa è opera di’, sono stati sempre i critici a fare delle attribuzioni”.

 

La voce del ritrovamento si è sparsa, il “Corriere di Reggio nell’Emilia” ha pubblicato la notizia che fa il giro dei maggiori giornali ed è stata riportata persino da “L’Eco di New York”.

Allora F. T. Barti ha offerto la commedia a Bellotti-Bon, in quel momento a Palermo. Bellotti-Bon gli ha risposto che, senza vedere l’opera, non poteva avviare le trattative e Bettòli, col nome di Barti, gli ha spedito il manoscritto. Si aspettava da Bellotti una risata e un rifiuto. Ha ricevuto, invece, l’offerta di 2.000 lire per il diritto esclusivo di recitare la commedia per tre anni.

 

Bellotti ha proposto a Barti un appuntamento a Firenze per stipulare il contratto, impegnandosi a pagargli L. 100 per il viaggio. Bettòli, naturalmente, non poteva presentarsi a Bellotti, ha trovato la scusa di affari impellenti e gli ha mandato una dichiarazione di cessione del manoscritto della commedia. Bellotti gli ha spedito le 2.000 lire con un biglietto di ringraziamento per avergli fatto risparmiare 100 lire!

Tutto finisce con una risata.

 

E, quando la commedia viene rappresentata a Milano, per devolvere l’incasso al fondo per il monumento a Goldoni, Paolo Ferrari scrive con molto spirito un prologo, recitato tra clamorose risate e vivissimi applausi.

Parmenio Bettòli, che diventerà direttore della “Gazzetta di Parma” e morirà a Bergamo nel 1907, ha scatenato questo caso che ricorda quello delle teste di Modigliani nell’estate del 1984 a Livorno, e che abbiamo voluto ricordare perché ha coinvolto anche Torino e personaggi torinesi.

 

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 27/08/2013