La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini
Piazza Milano

Gli operai proto-difensori del consumatore

Senza addentrarci nelle problematiche della microcriminalità torinese degli anni compresi fra i trasferimento della Capitale da Torino a Firenze (1865) e la fine dell’Ottocento, ricordiamo, oltre alle bande giovanili di teppisti (i “barabba”), l’alcolismo assai diffuso, largamente rappresentato dalle sbornie domenicali degli operai, spesso concluse da coltellate anche mortali, ed ancora la “lunediata” o “lunediana”, quando gli operai prolungano al lunedì l’ubriacatura della domenica, perdendo la giornata di lavoro.

 

Raccontiamo un episodio che riguarda  una brigata di operai in festa, contraddistinto da aspetti che fanno sorridere, anche se amaramente.  

 

Nella sera di venerdì 28 ottobre 1870 alcuni operai ben avvinazzati girano per le osterie  di Torino. All’epoca sarebbe una faccenda assai banale ma è tutt’altro che banale l’idea alla base della scorribanda dei nostri operai: la rende originale il fatto che questa brigata si è ficcata in testa l’idea che osti, cantinieri e tavernieri di Torino non tengano i litri di giusta misura e, quindi, defraudino gli operai loro clienti di qualche bicchiere di vino. Ritengono che  l’autorità competente non si occupi di questa frode, e così l’allegra brigata decide di occuparsene.

 

Questi volenterosi operai si sono procurati un litro di capacità legalmente controllata e poi hanno deciso di andare in giro per osterie e taverne, in modo da controllare “sul campo” se gli osti servivano ai loro clienti un litro di vino effettivo oppure un po’ “ridotto”. Contavano anche di verificare la quantità di vino servito in più locali, unendo così l’utile al dilettevole...  

 

La sera del 28 ottobre 1870, la nostra allegra brigata, fra cui si trovano Antonio Rapetti e Giuseppe Gieninetti, inizia la sua scorribanda con l’entrare nel caffè Milanese sulla piazza Milano, il tratto porticato dell’attuale piazza della Repubblica, allo sbocco della via Milano.

 

- Garçon! Portaci un litro di vino, ordinano gli operai.

- Sarete subito serviti.

 

Il garzone porta loro un recipiente di vino, ed il Rapetti tira fuori  il suo litro bollato, misura il liquido e poi si mette a gridare:

- Manca un bicchier di vino: così si inganna la povera gente!

Gli altri compagni seguono l’esempio di Rapetti. Sembra che si vogliano commettere disordini. La padrona ed i garzoni cercano di calmarli.

 

Ma Rapetti non vuole star zitto:

- Ce lo fate pagare per un litro, ed un litro non c’è…, protesta.

- Non pagatelo: andatevene, dice la padrona.

- Vogliamo giustizia, vogliamo sequestrare il recipiente non giusto, vogliamo portarlo all’Autorità.

 

A questo proposito si fanno molte chiacchiere e volano insulti. I garzoni si armano, chi di scopa, chi di bastone e chi impugna una caffettiera di caffè bollente, per gettarlo, se necessario, su quelli che protestano.

Gli operai non vogliono cedere, gridano ancora più forte, succede un parapiglia.

A questo punto Giuseppe Gieninetti tira fuori una pistola a doppia canna di corta misura, la punta ed intima a tutti di tirarsi indietro.

 

Un garzone corre al vicino corpo di guardia, due soldati arrivano ed arrestano Antonio Rapetti che si dimostra più chiacchierone degli altri. Si precipitano nel caffè anche due poliziotti, che tentano di arrestare gli altri operai senza riuscirci perché questi scappano in diverse direzioni.

 

I poliziotti inseguono Gieninetti, la raggiungono in un vicolo popolarmente indicato come vicolo della Fortuna, oggi di incerta collocazione. Legano Gieninetti e lo portano con Rapetti in Questura. Per la strada Rapetti insulta i poliziotti con termini assai volgari e questi redigono un verbale d’oltraggio.

 

Dopo quattro giorni di detenzione, i due arrestati sono messi in libertà provvisoria.

Nel dicembre 1870, pochi giorni prima di Natale, i due operai compaiono davanti alla Pretura  urbana accusati rispettivamente di oltraggio ai poliziotti (Rapetti) e di porto d’arma di corta misura (Gieninetti): sono infatti vietate le pistole con la canna corta, che possono essere facilmente nascoste in modo da ingannare l’aggredito facendosi credere disarmati.

 

Rapetti è condannato agli arresti e Gieninetti a quindici giorni di carcere.

La cronaca di questo processo compare sulla «Gazzetta Piemontese» del 24 dicembre 1870.

 

Quello che il cronista giudiziario pare non avere colto è il fatto che Rapetti, Gieninetti e i loro compari hanno sbagliato nella forma, non nella sostanza: la misura dell’oste era effettivamente inferiore al litro! Non domandiamoci poi cosa sarebbe accaduto se si fossero preoccupati di controllare anche la qualità del vino servito!

 

Questi operai, che mostrano una vocazione per la tutela del consumatore decisamente ante litteram, non hanno considerato l’aspetto sanitario di un’eventuale frode (vino annacquato e/o sofisticato). Si sono fermati all’aspetto annonario, vale a dire alla somministrazione di una minore quantità di vino rispetto al litro pattuito.

 

La loro attenzione alla verifica delle misure, sia pure dei litri da osteria, ci pare degna di nota, visto che oggi Torino è la città che si occupa di misure esatte: come scrive Lara Reale «A Torino la misura è di casa» perché Torino ospita l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica, nato nel 2006 dalla fusione dei preesistenti Istituto Elettrotecnico Nazionale «Galileo Ferraris» e Istituto di Metrologia «Gustavo Colonnetti», centro di riferimento nazionale per gran parte della metrologia scientifica (http://www.torinoscienza.it/dossier/a_torino_la_misura_e_di_casa_4488).

 

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Articolo pubblicato il 12/08/2013