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Cronaca Internazionale
La Cina e le sue ambizioni nel Pacifico
Il vero scontro per il dominio globale non è nell'Est europeo ma nel Pacifico.
Articolo di Luca Fiore Veneziano
Pubblicato in data 10/06/2022

 Il conflitto in Ucraina ha tracciato un solco profondo tra l'Occidente e il resto del Mondo. Gli Stati Uniti si trovano di fronte ad un dilemma che, se lasciato irrisolto, rischia di tramutarsi in una trappola di Tucidide. Washington deve scegliere su quale nemico concentrarsi tra quello russo e quello cinese. Affrontare una guerra globale su due fronti contemporaneamente potrebbe rivelarsi fatale non solo per gli Stati Uniti e l’Occidente (inteso come civiltà, citando Huntington) ma per l’umanità tutta, o quasi.

Se l’invasione russa dell’Ucraina mette a rischio l’architettura securitaria della NATO in Europa, la rinnovata assertività della flotta cinese rappresenta un pericolo di portata analoga per la sicurezza statunitense nel quadrante del Pacifico.

Difatti pare che la Cina stia costruendo segretamente una base militare navale in Cambogia ad uso esclusivo delle sue forze armate. La notizia è stata confermata al Washington Post da funzionari occidentali. Nonostante le smentite di rito di entrambi i Paesi, l'intelligence americana non ha dubbi: sarà nella parte settentrionale della base cambogiana Ream nel Golfo di Thailandia e potrebbe essere ufficializzata con una cerimonia già questa settimana.

Dopo la base militare di Gibuti, sarebbe la seconda base navale cinese fuori confine. Per Intelligence Community Usa questa base costituirebbe la prova della volontà della marina cinese di proiettare la sua forza ben al di là dei confini attuali.

Altro dato che va tenuto presente consiste nella potenza militare cinese che oggi conterebbe su un totale di 355 navi contro le 297 degli Stati Uniti. 

Avere una struttura in grado di ospitare grandi navi da guerra a ovest del Mar Cinese Meridionale sarebbe un elemento importante dell'ambizione della Cina di espandere la sua influenza nella regione e rafforzerebbe la sua presenza vicino alle principali rotte marittime del sud-est asiatico. 

Il Wall Street Journal ne parò già nel 2019, dove asseriva che la Cina insieme alla Cambogia avevano firmato un accordo segreto per consentire ai propri militari di utilizzare la base. Pechino e Phnom Penh hanno chiaramente negato il rapporto. Tuttavia, l’allarme percepito al Pentagono rimane.

Questa preoccupazione si va ad aggiungere ad una situazione già di per sé molto calda. Mi riferisco a quella presente nell’Asia Pacifico. Dove Usa e Sud Corea hanno lanciato otto missili balistici in risposta agli altrettanti sparati domenica dalla Corea del Nord nel mar del Giappone. “Il nostro governo reagirà con fermezza a qualsiasi provocazione”, ha dichiarato il nuovo presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, aggiungendo che le azioni di Pyongyang sono “una minaccia non solo per la pace nella penisola coreana ma anche nel nordest asiatico e nel mondo”.

Queste esercitazioni per la prima volta in quattro anni hanno visto convolta anche la portaerei americana “Ronald Reagan”. Esercitazioni che da sempre vengono viste da Pyongyang e da Pechino come “azioni ostili”.

La situazione infuocata ha allertato anche il Giappone. “Gli ultimi lanci di Pyongyang rappresentano una minaccia più seria rispetto al passato. Per questo lavoreremo con più decisione per rafforzare drasticamente le nostre capacità di difesa, incluse quelle offensive e di contrattacco”, ha dichiarato il ministro della Difesa giapponese Nobuo Kishi.

Come se non bastasse, nella regione sale la tensione anche tra la Cina e l’Australia. Canberra ha accusato Pechino di aver messo a rischio «con una manovra molto pericolosa» uno dei suoi aerei da pattugliamento P-8. Secondo il ministro della Difesa Richard Marles, il 26 maggio, durante una “normale attività di sorveglianza marittima” nello spazio aereo internazionale sul Mar Cinese Meridionale, un caccia cinese J-16 ha avvicinato pericolosamente un aereo della Raaf. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha replicato che: “L'Australia deve agire e parlare con prudenza per evitare che si verifichi un errore di calcolo che si traduca in gravi conseguenze”.

Un avvertimento che sembra una minaccia e che non migliora una situazione già tesa da anni. Da una parte c'è il patto annunciato lo scorso anno tra Usa, Gb e Australia per fornire a Canberra sottomarini nucleari e sviluppare armi ipersoniche in grado di trasportare testate nucleari, che inevitabilmente Pechino vede come “una Nato del Pacifico”. Dall'altra c'è la preoccupazione per l'espansione militare della Cina nell'area, dopo gli accordi commerciali stilati con le Isole Salomone a soli 2mila chilometri dalla costa australiana.

Ultimo, ma non ultimo, la perenne tensione sullo stretto di Formosa. Oltre alla lotta per accaparrarsi la tecnologia presente nell’isola, vi è la posizione geostrategica che Taiwan rappresenta. Riappropriarsi di Taipei per Pechino non rappresenta solo il completamento della propria unità nazionale (annettendo l’ultimo pezzo rimasto di Repubblica di Cina). Per Xi e il Partito Comunista Cinese la presa di Taiwan significherebbe penetrare nella barriera anticinese di isole creata e supportata dagli Stati Uniti nel Pacifico. Per la Cina risulta di fondamentale importanza riappropriarsi dei propri mari cinesi; e per farlo, per dimostrare all’America e al mondo la propria potenza è obbligata ad annettere l’isola di Formosa a sé, con le buone o con le cattive. La vera partita per il dominio del mondo non è in Ucraina, ma si gioca nel Pacifico. 

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