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Cultura
L’America e la ‘fatica imperiale’
Analizziamo le cause che determinano un Impero e la sua fatica vissuta.
Articolo di Luca Fiore Veneziano
Pubblicato in data 08/01/2022

Come si sa gli Stati Uniti sono una superpotenza globale.

Di più! Sono un Impero. Il termine “impero” in Geopolitica non ha un’accezione negativa né positiva, esso descrive semplicemente uno status quo.

Gli Usa si affermarono come superpotenza dopo la vittoria delle due Guerre mondiali; ma è solo dopo il trionfo della Guerra Fredda che, ad inizio anni ‘90, divennero un Impero Globale, dando vita a quella che oggi chiamiamo “globalizzazione”. La seconda nella Storia umana. La prima fu quella che gli storici definirono “romanizzazione”.

Tuttavia, essere un Impero globale non è sinonimo di “paradiso terrestre”.

Un simile status quo può generare in una Nazione che lo incarna una certa frustrazione, la cosiddetta “fatica imperiale”.

Essa è la sindrome che vive una popolazione che si trova ad essere intestataria di un Impero quando percepisce lo sforzo imperiale del proprio Paese come estremamente gravoso. Difficile da sostenere nel lungo periodo.

Ma che cosa determina una tale sindrome? Fattori che sono identici nella storia si possono riscontrare in tutti gli Imperi della medesima “taglia”.

Anzitutto, psicologicamente, a determinare la “fatica imperiale” è la consapevolezza di essere perennemente in guerra. Ovverosia essere coscienti di vivere in un continuo status di belligeranza.

Essere Impero vuol dire inevitabilmente fare la guerra. Combattere perennemente per difendere il proprio status, per impedire agli altri di insediarne la posizione di vantaggio, per scongiurare attacchi alla propria supremazia.

L’approccio psicologico riguarda la sensazione che prima o poi ci sarà una guerra. Anche quando direttamente questo non avviene. Gli americani, infatti, sono perennemente in guerra dal primo conflitto mondiale ad oggi. Con migliaia di loro militari dislocati in giro per il mondo, in vere e proprie colonie militari. Dalla Corea del sud ad Okinawa passando per la Germania e l’Italia.

Tutto questo perenne stato di belligeranza, come sopra detto, grava sulla popolazione statunitense, cui si somma un altro fattore tipico della “fatica imperiale”, ovvero, l’approccio antieconomico di ogni grande Impero globale.

Gli Imperi non hanno amici né pari nel commercio e nella politica. Essi perseguono la gloria e la salvaguardia di se stessi. La grandezza nazionale è il solo unico fine. Non sono mai mossi da matrice economica, quest’ultima riguarda unicamente gli stati satelliti degli Imperi. I “clientes” dediti al commercio e alla ricerca del benessere. I quali vedono in questo non uno strumento, come avviene per le grandi potenze, ma il fine ultimo da perseguire.

I grandi Imperi invece sono obbligati spesso a perseguire scelte antieconomiche; devono saperle riconoscere perché la traiettoria antieconomica è quella che conduce alla potenza assoluta.

Nel caso degli ‘States’, questi si trovano al centro di un sistema, il sistema globale (o globalizzazione appunto), incentrato sul controllo dei mari e degli oceani, da quando è implosa l’Unione Sovietica.

Per stare al centro di tale sistema gli Stati Uniti importano massicciamente merci dagli altri. Hanno un enorme deficit commerciale; il quale non è una stortura, ma una condizione scientemente perseguita; poiché importare massicciamente dagli altri significa creare dipendenza nei confronti di questi, che per l’appunto dipendono dal centro del sistema (Usa) per il loro benessere. Perché è lì che esportano maggiormente, ovvero esportano su rotte navali controllate dalla marina militare americana.

Gli Stati Uniti per tenere a sé questi soggetti comprano da essi, anche per mantenere il dollaro come riserva globale.

Quello che risulta evidente è che questa continua ricerca del deficit commerciale grava ulteriormente sulla popolazione, la quale percepisce tutto il peso di una simile scelta, di un simile sacrificio economico.

Questo spinge intere industrie locali americane fuori dal mercato di “casa”; sacrificate sull’altare della necessità imperiale. Sull’altare della dipendenza da generare negli altri.

Ma l’assenza di una visione economicista si riflette sul mancato benessere della popolazione americana, aumentandone la “fatica imperiale”. Da ultimo questa è corroborata da un altro tipo di importazione, quella degli esseri umani. Che è tipica di tutti gli Imperi, Usa inclusi.

Un grande impero necessita di esseri umani, li deve avere dentro di sé. Non per questioni economiciste legate al Pil (come avviene con l’immigrazione in Europa), semplicemente perché un Impero ha la necessità di mantenere giovane e violenta la sua popolazione.

Per evitare che questa si spinga verso un età mediana troppo avanzata importa esseri umani; che sono gli immigrati, (Roma aveva gli schiavi), i quali sono mediamente più giovani rispetto alla popolazione, più disperati e più affamati, ergo, più violenti e dunque più inclini ad essere arruolati nelle forza armate.

L’arrivo ogni anno di immigrati genera resistenza nella popolazione originaria. Produce un rigetto in gran parte dei suoi cittadini. Come è capitato nella Storia di tutti gli imperi.

Il Pentagono ne ha bisogno per mantenere l’età media più bassa(più incline, in quanto giovane, alla guerra); ma la popolazione e l’opinione pubblica vivono la cosiddetta ‘peste comunitaria’, e reagiscono provando fatica nell’accogliere i nuovi arrivati. Come spesso accaduto nella Storia degli Stati Uniti, ma con l’aggravante che questa volta gli immigrati non sono nemmeno di ceppo europeo, ma di un’etnia diversa rispetto al ceppo dominante anglo-germanico (WASP).

Il principale gruppo di immigrati proviene dal Messico; Paese nemmeno oltre oceano come avvenuto in passato, ma al di là del fiume “rio Grande” (o ‘rio Bravo’, come si chiama oltre confine in Messico).

Questi sono tutti elementi classici della “fatica imperiale” : belligeranza permanente, impresa antieconomica e necessità di importare esseri umani per mantenere giovane e violenta la popolazione, atta a combattere le guerre.

I primi a provare quello che oggi percepiscono gli americani furono i nostri antenati romani. I quali, assurti a grande potenza dopo la Terza Guerra Punica (146 a.C.), sperimentarono la prima ‘fatica imperiale’ della Storia umana.

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