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L’uomo, i misteri e l’ignoto
Quanto ci resta da vivere?
Tra obsolescenza naturale programmata e sentore di immortalità l’essere umano prova a credersi capace di gestire la durata della sua esistenza in vita.
Articolo di Pietro Cartella
Pubblicato in data 27/10/2021

Viviamo un presente distopico che non genera una vera speranza di futuro, un presente che si appoggia sulla paura e sui numeri per sentirsi “reale”, un presente inesistente, fatto solo di correlazioni miopi e riduttive tra cause ed effetti. Un presente in cui la vita vera è assente.

In questi ultimi due anni tutto ciò si è ulteriormente imposto ed aggravato. Molte voci urlanti si sono accavallate nel fare affermazioni prive di ogni fondamento che non sia posto in stereotipi, preconcetti o presunzioni scientifiche.

 

Tutti si occupano di tutto e dicono di tutto senza occuparsi di comprenderne senso e verità, tanto che, a dirla tutta, sembra che a nessuno interessi più di tanto quello che significa e ne consegue.

 

Un argomento tra i tanti appare evidentemente trattato in modo a dir poco fantasioso e pittoresco: il termine della vita. Tale termine sembra avvenire sempre in anticipo su quanto sarebbe giusto e normale aspettarsi, anche quando si sono compiuti oltre due secoli di vita in buona salute.

 

Sul rispetto di chi ha perso la vita tutti sproloquiano abbondantemente, mentre a pochi importa di quel tipo e qualità di vita che invece non rispettiamo quando ancora ne godiamo. Infatti riempiamo il periodo di vita di cui disponiamo di ogni sorta di porcherie e nefandezze, sotto le mentite spoglie (appunto!) di diritti e doveri. E ne facciamo e ce ne facciamo vanto!

 

Tra tutto questo rincorrersi a chi la dice più grossa (nuovo sport olimpico per il dopo pandemia) ogni tanto ne salta fuori una più meritevole di attenzione di altre. Ed eccone qui una declinata in varie sfaccettature.

 

Si è sentito spesso ripetere, in ogni luogo e modo possibile o inaspettato, che molti delle decine di migliaia di deceduti in questi anni di pandemia sarebbero sopravvissuti ancora a lungo se non avessero contratto il “Virus” per antonomasia, il falciatore mortifero di origine “quasi” dolosa. A supporto di tali affermazioni si sono portati dati costituiti da cartelle cliniche in cui spesso era riportata un’età media superiore agli ottanta anni ed una storia comprendente svariate patologie acute o croniche, oltre alla somministrazione di cure farmacologiche inadeguate, anche se interne a protocolli approvati. Ma a controbilanciare il tutto sarebbero bastate le statistiche relative all’aspettativa di vita degli ultraottantenni, valutata per il nostro paese in circa 10 anni. Omettendo però di aggiungere l’aggettivo “sani” ad ottantenni. Perché accade spesso che muoiano anche persone meno che ottantenni per cause varie.

Numeri, numeri, numeri, sventolati come bandiere di questa o quella ragione. Ma senza sentire ragione che non sia tra quelle accettabili per la propria ragione. Come se i numeri potessero allontanare una verità evidente: ad un certo punto della vita si muore, anche se sani e non all’età che ti aspetti.

 

Perché evidentemente il termine della vita non è direttamente in funzione di quello che crediamo; è direttamente in funzione di tutto ciò che non sappiamo e facciamo di tutto per non conoscere. Se così fosse ci renderemmo conto facilmente della coerenza di tale fatto in relazione allo scopo della vita e non passeremmo l’opportunità che essa ci offre sprecandola in mille futilità fino al momento in cui ci accorgiamo dell’incombere del suo epilogo.

 

Una battuta di spirito (ops!) dell’attuale Dalai Lama esprime in poche parole il modo in cui opera gran parte dell’umanità “che passa metà del suo tempo in attività che la fanno ammalare e l’altra metà a curarsi da ciò che si è procurata in tal modo”. Ma anche senza questo chiaro riferimento è facile prendere atto che tale è la situazione che ci siamo creati con le nostre mani. Siamo sempre più numerosi, viviamo più a lungo, ma siamo anche sempre più malati ed infelici. Inoltre se fosse per noi vivremmo comunque per sempre anche se più vecchi ed acciaccati, arraffando a piene mani tutto quello che pensiamo possa servire a tale scopo, anche se sottratto ad altri. Oppure cercando di evitare ciò che riteniamo inutile o dannoso per noi, consegnandola ad altri per “generosità, altruismo, benevolenza”, dietro cui si cela ben altra ragione. Quanto crediamo che possa durare questa pantomima?

 

Inutile dire che se gli anziani che detengono il potere cercano di salvaguardare i propri privilegi acquisiti all’infinito, con leggi da essi stessi promulgate, a proprio favore e a sfavore dei giovani, prima o poi occorrerà che intervenga un naturale fattore correttivo della situazione che porti l’equilibrio necessario in una condizione fortemente squilibrata a favore di qualcuno.

 

Cosicché, pur con tutto il rispetto per chi cessa la sua esistenza, non appare così strano ciò che sta accadendo, come normalmente avviene in natura se solo abbiamo occhi per vedere e ragione per intendere ciò che vediamo.

 

Possiamo cercare di tappare sempre più velocemente i fori che si stanno aprendo in una diga che sta evidentemente cedendo ma è fin troppo chiaro che non potremmo impedirle di cedere all’infinito. E quando ciò avverrà si ripianerà ogni cosa.

 

Ma anche se ciò non dovesse accadere in modo così drastico e universale, avverrà per ognuno quando meno lo si attende a dispetto di tutte le misure messe in atto per evitarlo. Con buona pace di chi vi si oppone in ogni modo e dei pochi che lo perseguono con più o meno validi motivi.

 

Una sola cosa possiamo e dobbiamo fare: anziché tentare di allungare una vita, vuota di veri contenuti, cercare, con tutto ciò che siamo, di fare buon uso del tempo che ci è ancora concesso.

 

Vale la pena di rifletterci su!

 

grafica e testo

pietro cartella

 

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