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Politica Internazionale
Il futuro (diviso) della Nato
L’Alleanza Atlantica va ripensata, come dimostra da ultimo la "Caporetto tattica" afghana. Il deludente mandato di Stoltenberg sta per volgersi al termine. L'Italia non dovrà ripetere una nuova "Pratica di Mare".
Articolo di Luca Fiore Veneziano
Pubblicato in data 10/09/2021

“Lo scopo della NATO è di tenere dentro gli americani, fuori i russi e sotto i tedeschi”. Queste furono le parole di Lord Ismay, generale britannico e primo storico Segretario Generale della NATO. Da allora molte cose son cambiate, compresa la fine del mondo bipolare e della Guerra Fredda; ma le strategie di contenimento americano sembrano molto simili ad allora. Soprattutto la percezione che Washington nutre verso i suoi “alleati” (meglio dire vassalli) occidentali. 

L'Alleanza Atlantica, e la sua creatura denominata Unione Europea, in questi ultimi decenni è stata utilizzata per espandersi verso Est, a discapito della Russia, costituendo così una nuova "cortina di ferro", questa volta spostata da Berlino Est fino alle porte di Odessa.

 

 

 

      Espansione della Nato verso Est

 

 

Se da un lato l’Alleanza Atlantica conviene a molteplici stati dell’Europa Occidentale (soprattutto in assenza di una difesa unica europea, con buona pace della PESC); dall’altro canto costituisce un grosso limite di manovra, soprattutto per paesi come l’Italia e la Germania, i quali rispettivamente al centro del Mediterraneo e dell’Europa, nutrono giustamente altre ambizioni che non quella di essere valvassori del vassallo francese e del sovrano americano.

La NATO nasce a Washington, il 4 aprile del 1949. Lì fu firmato il Patto Atlantico, il quale diede vita all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (OTAN o “Nato” in inglese appunto). La sua sede è a Bruxelles (non a caso coincide con quella dell'Unione Europea); la finalità era di creare un’organizzazione internazionale atta alla cooperazione per la difesa comune dell’Europa Occidentale; prima dall’Unione Sovietica e dai suoi alleati durante la Guerra Fredda, poi, dal Terrorismo internazionale dopo l’attentato dell’11 settembre 2001. 

Ma ad oggi, dopo il fallimento epocale dell’Afghanistan, e della corrispettiva “guerra al Terrorismo”; e con l’avanzata prorompente della Repubblica Popolare Cinese, rimane da chiedersi se non fosse il caso di rivedere il rapporto con la Federazione Russa. Soprattutto in virtù dei molteplici legami economici e culturali che nutrono numerosi stati europei con essa. Inoltre, il superamento della Nato volto ad un allargamento alla Russia potrebbe ridimensionare le ambizioni di Pechino, la quale si troverebbe ulteriormente accerchiata anche da Nord, vedendo l’ex alleato russo in una nuova veste di controllore siberiano.

Ad ogni modo restano gli interrogativi sul futuro della Nato e sul rapporto che l’Europa dovrebbe continuare ad avere con essa.  

Il grande stratega americano George Friedman così rispose alla domanda su quanto ancora contasse l’Europa per gli Usa: “Conta ancora molto, è parte integrante dell’impero americano, ma non è più il continente decisivo. L’Europa è una regione benestante, caratterizzata da una notevole qualità della vita, ma gli Stati che la compongono non sono né antagonisti strategici né alleati utili della superpotenza. Con alcune significative eccezioni, questi galleggiano tra ambizioni velleitarie e fraintendimenti di tipo antropologico-culturale. Abitati da popolazioni molto anziane, per nulla disposte a fare la guerra né a spendere per la loro difesa. Inclini a scambiare uno spazio commerciale inventato a Washington per un soggetto geopolitico, oppure a credere che la sola economia possa determinare la potenza. Difficile riconoscere cruciale importanza a un continente con tali caratteristiche, difficile dedicarvi la massima attenzione.”

Inutile ricordare che fra le “significative eccezioni” ci siamo anche noi italiani, i tedeschi e tutta l’area del Trimarium (Est Europa). Zone sensibili del Continente, e cruciali per il contenimento americano della Cina e della Russia.

Tuttavia, alla luce della sconfitta afghana occorre ripensare la NATO.

Washington punta a dividerla in due tronconi. Il primo, quello storico e oramai consolidato (in parte) dell’Europa e dell’America Occidentale; l’altro, quello della nuova Europa Orientale (nata dopo l’ex Patto di Varsavia), valido per il contenimento Usa verso la Fed. Russa. In quella parte del continente la popolazione è nettamente più giovane, meno anziana e meno imbevuta di economicismo, e soprattutto, più pronta di noi nel caso di un futuro conflitto armato. Non è casuale che la nuova Nato "Made in Usa" punti ad inglobare persino l’Ucraina e la Georgia.

In questa prospettiva il Pentagono desidera impiegare il primo gruppo Nato-occidentale nel Pacifico, in chiave anti-cinese. Mentre il secondo gruppo Nato-orientale in funzione anti-russa.

In un futuro di questo tipo, cruciale sarà la nuova nomina del Segretario generale della Nato il quale dovrà far fronte al dopo Afghanistan e al ripensamento della nuova struttura Atlantica. Il deludente mandato di Stoltenberg, che fu preferito a Frattini, sta per terminare; Roma deve di nuovo presentare una candidatura per il segretariato generale.

I nomi fatti fin ora non sembrano essere pronti per perseguire realmente gli interessi della nostra Penisola all’interno dell’Alleanza. Dalla Pinotti a Fassino, passando per la Mogherini o Gentiloni, non si dà alcuna rassicurazione in merito. Forse molto meglio un militare italiano, magari reduce dell’esperienza afghana. Si pensa a Beniamino Vergori, comandante della brigata Folgore ad Herat. Oppure a Luigi Chiapperini, ex comandante della brigata Garibaldi.

 

In ogni caso, qualunque sarà la nostra scelta, l’importante sarà muoversi tempestivamente, definendo al meglio quale sarà la nostra candidatura e fornirle come Nazione tutto l’appoggio che necessiterà.

 

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