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Politica Nazionale
Il Referendum tra silenzi ed indifferenza
Lucio Malan
Cosa decideranno i partiti, sarà ininfluente
Articolo di Francesco Rossa
Pubblicato in data 29/08/2020

Se ne parla pochissimo, se eccettuiamo uno spot televisivo di informazione.  200 costituzionalisti hanno lanciato un appello per il NO, come  pure, autorevoli personalità della cultura. Ma la politica nel complesso tace e non organizza confronti sul tema. Tra meno di un mese, se il traballante Conte non farà saltare il banco, andremo  a votare per il referendum confermativo della legge costituzionale che, approvata praticamente all’unanimità, ha ridotto il numero dei parlamentari cancellando complessivamente 345 seggi, 230 alla Camera e 115 al Senato.

Se questo taglio sarà confermato diventerà realtà uno degli storici cavalli di battaglia del M5S, il simbolo per antonomasia della lotta alla “casta”, partorito da ignoranza e superficialità per essere dato in pasto alle masse come rimedio miracoloso di tutti i mali della Repubblica.
Diciamo che negli ultimi anni i nostri politici ce l’hanno messa tutta per generare la repulsione dei cittadini contro il sistema partitocratico.

La leggi e le norme elettorali che hanno privato il cittadino del diritto di scegliere  il nominativo del candidato prescelto, hanno generato sfiducia, limitato il valore  delle elezioni, ma di conseguenza si è abbassata la competenza dei parlamentari. Gli episodi sono stati molteplici, come la nascita di partitini leaderistici, alcuni già spariti, la corsa dei transfughi e tutti le azioni escogitate dal parlamentari, atte a ledere la dignità del Parlamento ed esaltare la pochezza degli eletti. Sino alla vicenda recentissima che ha visto coinvolti  deputati e senatori sciagurati che approfittando delle provvidenze disposte da governo e regioni, a ristoro dei presunti danni subiti in seguito alla pandemia, hanno fatto man bassa, tentando poi di giustificarsi con scuse penose e vergognose.

La misura è colma, ed il malgoverno sta accentuando il senso di nausea e di rivolta da parte del cittadino, ma la reazione dovrebbe essere rivolta ai leder politici, non all’istituto parlamentare, per colpa delle vistose carenze dei bischeri designati e non eletti dai cittadini.

Arriviamo così ai nostri giorni ed alla deleteria presenza dei grillini, tanto bravi a raschiare il fondo nell’esprimere la loro rappresentanza ed esprimere diktat totalitari.
Nell’indifferenza del Parlamento, ne è uscito un messaggio tanto banale ed elementare quanto efficace, tanto che tutti i partiti senza distinzione di schieramento, ideologia o posizione politica, terrorizzati dal pericolo di passare per difensori delle poltrone e del palazzo, si sono docilmente accodati alla bambinesca demagogia grillina.

In realtà la questione posta nei termini in cui è stata posta non ha nessun senso né logico, né giuridico, né pratico.
Come è noto gli argomenti a sostegno del tanto ostentato taglio sono essenzialmente due: la riduzione dei costi di funzionamento del parlamento e la sua maggiore efficienza.
Nessuno dei due, però, ha un minimo di fondamento e la comparazione con i nostri partner europei è palesemente falsificata.

Il risparmio effettivo, secondo cifre enunciate, per i conti pubblici sarebbe più o meno di un’ottantina di milioni all’anno, altri, come il Professor Cottarelli, sostengono 57. Una cifra assolutamente insignificante di fronte ai circa 850 miliardi della spesa pubblica annuale di cui rappresenterebbero un misero 0,007%.

Un prezzo più che stracciato per una consistente riduzione della sovranità e della rappresentanza popolare: rapportando il numero di rappresentanti al totale degli abitanti l’Italia si trova oggi al 24° posto in Europa per la Camera, con 1 deputato ogni 100.000 abitanti, e al 9° posto per il Senato tra i 14 Stati che hanno una camera alta.

Se confermato, il taglio escogitato dai grillini ci farebbe scivolare in ultima posizione per rappresentanza alla Camera, con 0,7 deputati ogni 100.000 abitanti, e alla penultima per il senato con 0,3 senatori ogni 100 000 abitanti.
Quanto alla presunta maggior efficienza è sin troppo facile obiettare che non esiste nessuna seria correlazione tra efficienza e numero dei parlamentari, come sa bene chiunque abbia una minima conoscenza del funzionamento delle Camere.

La farraginosità dei processi di formazione delle leggi dipende soprattutto dalle norme costituzionali, oramai obsolete ed inadeguate, che li regolano (art. 70 e seguenti della Costituzione) e, soprattutto, dai bizantinismi dei regolamenti parlamentari ancora pesantemente intrisi dell’assemblearismo consociativo della prima repubblica.

Un ginepraio nel quale nessuno di quelli che si sono succeduti al potere degli ultimi 25 anni ha mai voluto mettere seriamente le mani; una materia oscura e complessa difficilmente comprensibile e ancor più difficilmente spendibile elettoralmente, a differenza delle banali semplificazioni grilline.

Oltre al fatto, ovviamente, che esiste un problema qualitativo, la selezione del ceto politico, ben più rilevante di quello quantitativo. Che senso ha ridurre il numero dei parlamentari se poi quelli che rimangono, continuano a chiamarsi Toninelli, Azzolina, Casolati, Castelli o  Di Stefano?

C’è poi un rilevante problema di metodo: la pandemia ha reso clamorosamente evidente come alcun norme legislative si sono rivelate del tutto inadeguate di fronte ai problemi da affrontare, come dimostra il fatto che un tizio capitato per caso a Palazzo Chigi abbia potuto esercitare (male) un potere quasi assoluto ed incontrollato, limitando gravemente l’esercizio di diritti fondamentali per mezzo di semplici atti amministrativi privi di qualsiasi controllo nel silenzio tombale, se non con l’acquiescenza, degli organi costituzionali di garanzia.

O come dimostrano anche il caos nella suddivisione delle competenze tra Stato e Regioni; le continue ingerenze di una magistratura politicizzata nelle decisioni politiche; il malfunzionamento del CSM ridotto ad un Suk maleodorante di traffici, malcostume e interessi inconfessabili; il governo improvvisato, legale ma non legittimo, tenuto in piedi da una maggioranza parlamentare artificiale, nata dal trasformismo e tenuta a galla con argomentazioni puramente formalistiche, del tutto scollato dalla maggioranza del paese reale privato della possibilità di esprimersi.

Servirebbe quindi un serio e sistematico processo di revisione della parte seconda della Costituzione, quella che definisce l’ordinamento dello Stato, per adeguarla alle esigenze di una società moderna e dotando il paese di istituzioni evolute ed efficienti.

Invece i grillini, per superficialità ed ignoranza, e tutti gli altri, per paura ed interesse contingente, hanno imposto una inutile mossa ad effetto, figlia di una ridicola propaganda più che di una seria cultura politica, che non risolverà nessun problema ma, anzi, ne creerà molti altri, a cominciare da quelli legati alla legge elettorale.
Stupisce in questo quadro la posizione del centro destra  e del PD, passivamente accodatosi al grottesco carrozzone grillino.

Si tratta, come è evidente, di una scelta dettata dal solito tatticismo, da un calcolo utilitaristico di breve termine, ovvero cercare di mettere il cappello su una scelta (sbagliata) che la propaganda grillina ha reso popolare per non lasciare al M5S il monopolio del presunto successo e non passare per quelli che difendono la casta e le poltrone.

Una posizione sostanzialmente subalterna e passiva finalizzata alla raccolta del consenso spicciolo ma lontana da una consistente strategia politica e della quale forse non sono state ben valutate le conseguenze.
La vittoria del NO al referendum confermativo sarebbe una sconfitta cocente per il M5S che avrebbe verosimilmente ripercussioni serie sul governo.

La conferma del taglio dei parlamentari, viceversa, sarebbe una salutare boccata di ossigeno sia per i grillini, che si intesterebbero (giustamente) un rilevante successo politico, che per Giuseppi.

I toni sul referendum e sulle elezioni amministrative sono molto felpati. Ce l’ha confermato ieri un senatore, che nutre il fondato sospetto che Conte trovi una scusa per un ulteriore rinvio.

Il voto referendario, a prescindere dall’esito, sarà comunque un voto espresso contro la partitocrazia. Chi voterà NO intende difendere  l’Istituzione parlamentare e lo stato di diritto contro i partiti cesaristi e gli omuncoli al potere. In attesa delle prese di posizione ufficiali dei partiti, è già iniziato il “rompete le righe”. A livello locale, mercoledì il senatore Lucio Malan di Forza Italia, in un pubblico incontro, ha motivato la sua personale scelta per il No, mentre  il Presidente della Regione Alberto Cirio, opta per il SI. Contro il diktat di Giorgia Meloni per il SI, si è apertamente espresso Guido Crosetto per  il NO.  Oltre all’assessore Regionale Fabrizio Ricca, altri esponenti della Lega hanno annunciato di optare per il No. Nel PD, in attesa che il flemmatico Zingaretti si pronunci si è già costituito a Torino, un comitato per il NO. Di uguale parere si sono pubblicamente dichiarati il segretario Mimmo Carretta e i deputati Chiara Gribaudo, Chiara Foglietta, Daniele Viotti ed altri. Per Italia Viva, sostiene il NO, l’on. Silvia Fregolent.

Situazione in evoluzione. L’aspetto significativo di questo voto, a prescindere dall’esito, manifesta il desiderio degli italiani di liberarsi dell’incrostazione parassitaria connaturata ai partiti della seconda repubblica.

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